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Tele-Pechino. Caro Draghi, spegni le telecamere cinesi. Firmato Pd

Interrogazione del Pd a firma dei deputati Sensi e Borghi: Draghi alzi l’asticella sulle telecamere cinesi di Hikvision. L’azienda campione dei sistemi di sorveglianza è sotto torchio di Usa e Ue con l’accusa di violazione dei diritti umani in Xinjiang. E in Italia vince fior fior di gare, anche nei ministeri. A gennaio scende in campo l’Agenzia cyber

Fari accesi, telecamere spente. Il Pd chiede al presidente del Consiglio Mario Draghi di fermare Hikvision. Un’interrogazione di lunedì a firma del deputato dem Filippo Sensi e di Enrico Borghi, responsabile sicurezza del Pd e membro del Copasir, domanda a Palazzo Chigi se ritenga “pienamente compatibile con i necessari standard di sicurezza nazionale” l’attività dell’azienda tech cinese.

Da anni Hikvision è finita nel mirino degli Stati Uniti e, più di recente, dell’Ue. La compagnia è tra i massimi produttori al mondo di sistemi di videosorveglianza, ha sede a Hangzhou e in Italia opera tramite il braccio italiano Hikvision Italy Srl, con sede a Cinisello Balsamo.

L’accusa, negata fermamente dall’azienda, è di fornire telecamere e sistemi di riconoscimento facciali utilizzati per la violazione di diritti umani. Ad esempio in Xinjiang, la regione cinese dove vivono gli uiguri, popolazione turcofona sottoposta a un regime di sorveglianza e detenzione.

Non è tutto: nel giugno del 2020 l’amministrazione Trump ha inserito Hikvision, insieme a Huawei e altre diciotto compagnie cinesi, in una black-list di aziende ritenute pericolosamente vicine all’esercito cinese. E la stretta non è venuta meno con Joe Biden, che ha chiesto alla Federal Communication Commission, la più potente agenzia del governo Usa per le telecomunicazioni, di tenere alla porta le società cinesi.

Anche l’Europa si è mossa. Ad aprile, ricordano Borghi e Sensi nell’interrogazione, il Parlamento Ue ha chiesto al segretario di “rimuovere tutte le telecamere termiche di tale azienda” dai locali a Bruxelles perché “esiste un rischio inaccettabile che Hikvision, attraverso le sue operazioni nello Xinjiang, contribuisca a gravi violazioni dei diritti umani”.

In Italia il caso Hikvision è finito da tempo al centro del dibattito politico. Anche perché qui l’azienda vanta una forte presenza, con decine di contratti e gare per la fornitura di tecnologia nella Pubblica amministrazione. È il caso, ha svelato un’inchiesta di Wired, di oltre mille telecamere di Hikvision che sorveglierebbero le sale intercettazioni delle procure italiane, un luogo che, per definizione, può dare accesso a informazioni sensibili sulle indagini giudiziarie.

In quella gara Consip, vinta da Hikvision dopo la stipula di una convenzione con Fastweb, erano compresi “gli archivi del materiale raccolto con trojan e cimici, le sale server e gli spazi per l’ascolto”, ha scritto Wired, che a luglio scorso ha aggiunto un tassello al mosaico: altre cento telecamere della stessa azienda sorvegliano ingressi, entrate e corridoi del ministero della Cultura nell’ufficio centrale dove siede il ministro Dario Franceschini.

Ma il mosaico potrebbe essere molto più grande. Scrivono i deputati dem: “Da una ricerca condotta sul sito web Shodan, portale di ricerca che indicizza dati relativi ai sistemi esposti sulla rete internet, sarebbero migliaia, nel dominio cibernetico italiano, i dispositivi Hikvision esposti in rete. Un numero restituito certamente ridotto rispetto al numero effettivo di dispositivi presenti in Italia, in quanto il dato non contempla le reti chiuse”.

Di qui la richiesta a Draghi di intervenire, e di farlo in tempi rapidi. Perché “in assenza di opportune misure di sicurezza cyber” gli apparati dell’azienda cinese, che poggiano su sistemi di tipo cloud, potrebbero esporre i dati “al rischio di acquisizione e di analisi da remoto, favorendone il riprocessamento, la gestione e la comunicazione, anche in tempo reale”.

Non è la prima volta che in Parlamento atterra il dossier sulle telecamere cinesi. Lo scorso aprile ha fatto discutere la scoperta diciannove termoscanner installati a Palazzo Chigi da Dahua, azienda cinese nel mirino degli Usa per le stesse accuse rivolte a Hikvision, che nel 2020 ha vinto una gara pubblica.

Dal prossimo anno ci sarà una stretta dei controlli sugli appalti pubblici per la sicurezza. Di questo infatti dovrà anche occuparsi la neo-costituita Agenzia per la cybersicurezza nazionale (Acn) guidata da Roberto Baldoni, che attraverso i laboratori per i test dovrà valutare la sicurezza e l’affidabilità della tecnologia fornita ai soggetti “essenziali per lo Stato”.


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