In un report pubblicato dal Center for a New American Security (Cnas) viene sottolineata l’importanza di evitare gli errori commessi con il 5G. Gli Usa sono in ritardo, ma collaborando con altri Stati possono sanare il divario con Pechino. In palio c’è un utilizzo sano e regolamentato della tecnologia
Giocare d’anticipo sarà fondamentale. Lo si potrebbe riassumere così il report Edge Network, Core Policy. Securing America’s 6G Future, pubblicato dal Center for a New American Security, che offre una panoramica della situazione attuale e futura sulla sesta generazione della tecnologia mobile con lo scopo di aiutare il governo degli Stati Uniti a non farsi trovare impreparato e mantenere la leadership nel campo digitale. Anche perché la sfida con la Cina è già iniziata e, stavolta, non sarà possibile arrivare in ritardo come accaduto con il 5G.
Anche se quest’ultimo è tutt’altro che ultimato, con diversi problemi ancora da risolvere, la discussione intorno al suo successore – il 6G – interessa eccome gli Stati. D’altronde, nel momento in cui si è capito che si sarebbe potuta sviluppare una tecnologia capace di andare cento volte più veloce di quella precedente, di ottimizzare autonomamente i percorsi in modo tale da poter inviare una quantità di dati ancor maggiore in tempi più brevi, raccogliendoli e distribuendoli non solo su terra, ma anche mare, aria e spazio, l’interesse è cresciuto a dismisura.
Dalla telemedicina all’industria, dalle telecomunicazioni alla telepresenza olografica – un tipo di comunicazione tridimensionale anche a distanza, che abbina la realtà virtuale e mista – fino al rapporto tra uomo e macchina: tutti elementi che riceverebbero dei benefici enormi grazie alla connessione di ultima generazione, che è arrivata in tempi strettissimi.
Per sviluppare il 3G ci sono voluti quindici anni, tre anni in più rispetto al 4G e sette se il paragone viene effettuato con i tempi di sviluppo per la quinta generazione. L’implementazione del 6G è attesa per fine decennio, dimostrando ancora una volta quanto veloce stia correndo la ricerca. La corsa, tuttavia, non deve mettere fretta perché evitare le cadute in questa fase – come cercare di imporsi – è di fondamentale importanza per il domani. Per questo, gli autori del report (Martijn Rasser, Ainikki Riikonen e Henry Wu) hanno portato sotto gli occhi del governo federale e del Congresso una serie di suggerimenti per evitare di ripetere gli errori del passato, traendo beneficio dalle lezioni imparate così da metterle in pratica.
GLI ERRORI DEL PASSATO
I limiti e gli errori riscontrati con il 5G che vengono evidenziati fanno riferimento in primis ai suoi aspetti tecnici. A iniziare dalla velocità delle frequenze, per cui è stata adottata una pianificazione scadente e non è stata pubblicata alcun road map su cui basarsi, passando per la cybersicureza. Il governo statunitense deve fornire un piano di difesa più forte, che racchiuda tutti i numerosi attori coinvolti dato che il 5G ha comportato un numero di maggiore di parti e fornitori che necessitano di protezione. Con il 6G, questo discorso ha ancor più ragione di esistere.
In ogni modo, la gara si giocherà anche e soprattutto sul piano politico. È qui che si colloca la competizione con la Cina. Gli Stati Uniti questa volta non possono permettersi alcun ritardo se vogliono dire la loro e quindi sarà necessario aver appreso tutti gli insegnamenti, compreso quello della sottovalutazione della crescente influenza delle aziende cinesi nel campo. D’altronde, come sottolineano gli autori, “le prime fasi di ricerca e sviluppo, fondamentali per i test e la verifica delle tecnologie 6G, determineranno i futuri leader nella tecnologia delle telecomunicazioni”.
E su questo gli Stati Uniti sembrerebbero ancora molto indietro. Alcuni Paesi hanno già implementato la loro strategia: Cina, Giappone e Corea del Sud ad esempio hanno iniziato a predisporre i documenti per la pianificazione, mentre l’Unione europea ha presentato a gennaio scorso il suo piano di ricerca, Hexa-X, il primo progetto pilota della Commissione coordinato da Nokia ed Ericsson e dalla durata di due anni.
L’obiettivo è quello fissare una road map in modo tale da non arrivare impreparati e competere con Cina e Usa. Al momento, però, solo i cinesi rappresentano una sfida reale, avendo già depositato più di 13mila brevetti relativi al 6G, più di un terzo del totale. La proprietà intellettuale, specie dopo la pandemia, assumerà un ruolo chiave nella partita e Paesi come la Cina possono offrire opportunità di licenza vantaggiose. Ancor di più se i competitor principali sono ancora molto indietro.
LE MOSSE DEL GOVERNO AMERICANO
L’amministrazione di Joe Biden sta semplicemente portando avanti una serie di collaborazioni, ma non ha ancora annunciato una strategia complessiva sul 6G. L’unico tentativo di accorciare le distanze sembrerebbe essere rappresentato dalla Next Generation Alliance, l’iniziativa lanciata l’autunno scorso dall’amministrazione repubblicana, con il fine di sviluppare la tecnologia wireless in nord-America.
Lasciare adesso spazio a Paesi illiberali e autoritari potrebbe rappresentare un problema non di poco conto. La sorveglianza, ad esempio, compirà un balzo in avanti con le tecnologie apportate dal 6G e il rischio che sia un passo negativo per la comunità è piuttosto concreto. La capacità di utilizzare la radiazione elettromagnetica Terahertz per il rilevamento dei dati, sottolinea il report, è un’opportunità che se non viene regolamentata e controllata può trasformarsi in qualcosa di pericoloso qualora venisse sfruttato per finalità di controllo.
“Senza privacy e sicurezza”, scrivono gli autori, il 5G e il 6G “possono aumentare il potere dei governi autoritari. Al di là dei rischi per la sicurezza e il potere economico, la modernizzazione della rete comporta conseguenze per i diritti umani”, avvertono. Ciò che è necessario, quindi, è sviluppare un coordinamento che assicurerà lo sviluppo e la diffusione delle reti di nuova generazione in modo sano, per garantire ai cittadini maggiori libertà e non per privarli di questa.
Seppur in ritardo rispetto alla concorrenza, lo studio del 6G negli Stati Uniti è partito già diversi anni fa – il che spiega ancor meglio l’importanza della corsa allo sviluppo tech. Nel 2018, l’università californiana di Santa Barbara aveva fondato ComSenTer, un centro di ricerca milionario incentrato nelle comunicazioni Terahertz, che rientra nel progetto Joint University Microelectronics Program (JUMP) della U.S. Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA) e che collabora con il mondo accademico.
L’allora presidente Donald Trump aveva a cuore la questione, essendo anche il primo leader mondiale a parlare pubblicamente di 6G. “Voglio il 5G e persino il 6G negli Stati Uniti”, aveva twittato. “È molto più potente, più veloce e più intelligente dello standard attuale. Le aziende americane devono intensificare i loro sforzi”. Anche l’amministrazione Biden, per quanto lenta, non è rimasta con le mani in mano. Oltre alla già citata Next G Alliance, quest’anno la National Science Foundation ha annunciato un piano da 40 milioni di dollari per velocizzare l’intero processo di ricerca.
Non è abbastanza. La collaborazione con gli altri Stati risulterà di fondamentale importanza per gli Stati Uniti se vorranno tagliare il traguardo prima dei rivali cinesi. Questo aspetto viene sottolineato più volte da parte degli autori del documento, che ricordano come la ricerca sul 6G si presti a un lavoro comune. Washington ha già iniziato a prendere accordi bilaterali con Corea del Sud, Regno Unito e Giappone. Quest’ultimo rientra nell’alleanza Quad insieme ad Australia ed India, altri due partner imprescindibili, senza dimenticare l’importanza della Finlandia in questa partita – che ha numerose partnership a livello mondiale – e, naturalmente, l’Unione europea.
“Per promuovere la collaborazione internazionale sul 6G”, scrivono nel report, “gli Stati Uniti dovrebbero stabilire un dialogo regolare con le democrazie leader nella tecnologia 6G, con Paesi come Taiwan”, fondamentale per la produzione di semiconduttori, tanto per dirne una. In sostanza, per diventare leader Washington dovrà dialogare con i propri alleati, stilare memorandum d’intesa e coordinare i lavori, anche e soprattutto in termini di politica commerciale.
Per riuscirci, la Casa Bianca dovrà pensare a una strada da percorrere da qui al 2030, quando il 5G sarà superato. Capitale umano, infrastrutture, sicurezza e una regolamentazione chiara sono gli aspetti chiave su cui dovrà puntare per arrivare preparata a quel momento. Neanche a dirlo, l’unico modo sarà convogliare gli investimenti sulla ricerca e sviluppo, anche attraverso una collaborazione pubblico-privata se necessario. In tutto questo, il Congresso svolgerà un ruolo chiave. La prima mossa da compiere secondo i ricercatori è designare il Dipartimento del commercio come membro della comunità di intelligence (IC). In questo modo si potrà promuovere e proteggere adeguatamente lo sviluppo tecnologico, condividendo le informazioni sia internamente che con gli alleati.
Così come molto importante sarà istituire, all’interno del Dipartimento di Stato, un Ufficio di partnership tecnologica, in grado di avviare ed espandere alleanze tech a livello internazionale. Un’idea che è già stata partorita all’interno dell’Innovation and Competition Act di quest’anno e per cui Pechino si è già detta contraria, promettendo ritorsioni che spaventano le aziende americane. Altra testimonianza di come la corsa per il primato tech, per cui tutti si stanno muovendo seppur a velocità diverse, sia appena cominciata.