La multa è stata giudicata dall’azienda come “ingiustificata” e “sproporzionata”, per cui la società di Bezos si dice “in profondo disaccordo” e promette di fare ricorso. Quello dell’Antitrust è solo l’ultimo intervento contro le grandi aziende, che sono finite nell’occhio del ciclone dopo una serie di scandali sull’utilizzo dei dati privati degli utenti
L’Antitrust ha constatato una violazione dell’art. 102 del Tfue. La sanzione è arrivata per il danno inflitto alla concorrenza nel servizio di logistica e segue la logica europea di contenimento delle Big tech. L’azienda di Bezos, fortemente contraria alla multa, promette ricorso.
Un miliardo, centoventotto milioni e cinquecento novantasei mila euro. A tanto ammonta la multa che l’Antitrust italiano ha inflitto alle società Amazon Europe Core S.a.r.l., Amazon Services Europe S.a.r.l., Amazon Eu S.a.r.l., Amazon Italia Service S.a.r.l. e Amazon Italia Logistica S.r.l. per aver violato l’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (Tfue). Quest’ultimo vieta infatti “lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte di questo”.
La mazzata è stata giustificata con la troppa dominanza dell’azienda di Jeff Bezos, che l’Autorità definisce “assoluta” nel mercato italiano ai danni della concorrenza. Nel 2019, si legge, la quota di mercato di Amazon è risultata cinque volte superiore di quella del più immediato concorrente, un divario che nell’ultimo quadriennio non ha fatto altro che aumentare sempre di più. Due anni fa, Amazon ha realizzato più del 75% del totale dei ricavi generati dai marketplace “dall’offerta di servizi di intermediazione a venditori terzi”. Sempre in quell’anno, nel nostro Paese, oltre il 70% delle vendite totali di prodotti di venditori terzi su marketplace è avvenuta sulla piattaforma di e-commerce.
Il dominio di Amazon viene constatato anche in termini di visite dei consumatori. I numeri, d’altronde, parlano chiaro: tra il 2016 e il 2019 i visitatori sono passati da 80 milioni a oltre 220 milioni. Per intenderci, nello stesso periodo di tempo, eBay ha visto un incremento di dieci milioni di visitatori (da 40 milioni a 50 milioni), una crescita che diventa insignificante di fronte al risultato di Amazon. Per l’Antitrust, inoltre, “il numero di utenti unici che hanno visitato Amazon.it ogni mese è raddoppiato ed è passato, in media, da 12 a 24 milioni; eBay.it ha raggiunto solo nel 2019 il livello di audience mensile che Amazon.it possedeva nel 2016. Da ultimo, il numero di consumatori che nell’anno hanno effettuato almeno un acquisto su Amazon.it è stato, sempre nel 2019, ben superiore a 10 milioni (con un incremento di oltre il 60% dal 2016) mentre, nello stesso periodo, quello di eBay.it è sceso di oltre un quinto”.
Lo strapotere dell’azienda statunitense è favorito dall’impossibilità per le altre società concorrenti di poter tenerle testa. Non solo per il nome che ormai il marchio si è costruito tra i consumatori, ma anche per la sua fidelizzazione con i clienti. Amazon Prime, ad esempio, conta oltre 7 milioni di abbonati. Una crescita che, probabilmente, nell’ultimo anno è stata facilitata dalla conquista parziale dell’attuale edizione della Champions League, inclusa nell’abbonamento con Prime.
Per di più, “Amazon ha legato all’utilizzo del servizio Logistica di Amazon l’accesso a un insieme di vantaggi essenziali per ottenere visibilità e migliori prospettive di vendita su Amazon.it”. L’azienda “impedisce infatti ai venditori terzi di associare l’etichetta Prime alle offerte non gestite con Fba (Fulfillment by Amazon)”.
Il ruolo che ha assunto negli ultimi tempi Amazon Prime spiega bene la posizione di superiorità della società di Seattle. Andando a vedere la differenza di spesa tra un abbonato Prime e un non abbonato, si nota come nel 2012 il primo spendesse all’anno un terzo in più del secondo. Due anni fa, la spesa media di un abbonato era di circa 500 euro all’anno, il doppio di un non fidelizzato. Sempre nel 2019, su 100 euro di spesa, 70 euro provenivano dalle tasche di un abbonato, mentre oltre 60 euro hanno riguardato un prodotto Prime, “di cui più della metà venduto da retailer terzi”.
Sotto la lente di ingrandimento dell’Autorità italiana sono finiti anche i vantaggi che l’abbonamento a Prima comporta, essenziali per garantire ad Amazon una posizione di rilevanza e aumentare le vendite. Oltre alla rapidità di consegna, l’etichetta permette di prender parte a eventi gestiti da Amazon, come il Black Friday, il Cyber Monday o il Prime Day. Questi attirano in media un terzo dei visitatori in più di un giorno qualunque dello stesso mese, con punte di oltre il 60% in più raggiunte durante i vari Black Friday. Il numero di consumatori che acquista almeno un prodotto, inoltre, è tre volte maggiore la media giornaliera del mese. Le vendite di prodotti “in vetrina” hanno rappresentato oltre due terzi del totale delle vendite (dati 2019), di cui oltre il 60% ha interessato prodotti Prime.
L’abuso da parte di Amazon – denominato self-preferencing, un modus operandi che vede un’azienda preferire il proprio servizio di logistica anche nel momento in cui quello della concorrenza è ugualmente efficiente e produttivo – ha così estromesso dal mercato gli altri concorrenti, o comunque ne ha fortemente rimpicciolito i ruoli subordinandoli alla stessa società di Bezos. In questo modo, il divario non ha potuto che aumentare. Ad essere danneggiati, inoltre, sono stati anche i marketplace concorrenti. “A causa del costo di duplicazione dei magazzini”, scrivono dall’Autorità, “i venditori che adottano la logistica di Amazon sono scoraggiati dall’offrire i propri prodotti su altre piattaforme online, perlomeno con la stessa ampiezza di gamma”.
La strategia ha comportato l’aumento della percentuale di ordini dei venditori terzi gestita con Fba, che ha visto un incremento di oltre il 50% tra l’inizio del 2016 e la fine del 2019, anno in cui è stata gestita la consegna di oltre 150 milioni di pacchi (il 60% del totale di quelli generati da vendite online in Italia, contro il 20% di tre anni prima). Più della metà dei pacchi lavorati da Amazon in quell’anno è stata consegnata con la rete distributiva della società. La quota di Amazon nei marketplace nel 2019 era enorme, superando il 70%. Una crescita “assolutamente anomala che fa emergere rischi concreti di monopolizzazione e che, ancor più che fondarsi sull’efficienza, si avvantaggia della possibilità, non replicabile per gli altri operatori, di condizionare la visibilità dei rivenditori sul marketplace (attraverso l’etichetta Prime) alla scelta dell’operatore di logistica.
Da qui, la motivazione di sanzionare con una multa che è già storia. Amazon, inoltre, sarà sottoposto a una serie di misure che finiranno sotto al vaglio di un monitoring trustee. La società dovrà pubblicare i propri standard e, a un anno dalla decisione, si dovrà astenere “da ogni forma di intermediazione e gestione diretta del rapporto commerciale fra i venditori e gli operatori di logistica di magazzino e/o distributiva scelti dai venditori per la gestione delle offerte incluse nel programma Prime Gestito dal Venditore, lasciando alla negoziazione diretta tra le parti la definizione dei termini e delle condizioni del contratto”. Soprattutto, Amazon dovrà garantire una giusta visibilità alla concorrenza che rispetti tutti gli standard equi e non discriminatori di evasione dei propri ordini.
La multa è stata giudicata dall’azienda come “ingiustificata” e “sproporzionata”, per cui Amazon si dice “in profondo disaccordo” e promette di fare ricorso. Quello dell’Antitrust è solo l’ultimo intervento contro le grandi aziende, che sono finite nell’occhio del ciclone dopo una serie di scandali sull’utilizzo dei dati privati degli utenti e di disinformazione, oltre ai vari abusi sul mercato come nel caso di Amazon. Giusto a fine novembre, Google e Apple avevano ricevuto una sanzione da dieci milioni ciascuna (il massimo della pena secondo la normativa vigente) a causa dell’uso dei dati per fini commerciali e della mancanza di informazioni fondamentali per rendere consapevole l’utente di quello che stava accettando. La questione però non interessa la sola Italia, dato che la lotta alle Big tech è partita in tutta Europa. A cominciare da Bruxelles, dove la commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager sta dando battaglia senza alcuno sconto. La stessa strada che ha intrapreso il nostro Garante.