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Quella doccia fredda sui Bitcoin della Bce

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Nuovo attacco dell’Eurotower contro le criptovalute, fonte di speculazione e instabilità. Anche la Fed non le digerisce troppo, ma ora il nemico numero uno di Bitcoin&Co è un altro: l’inflazione e le conseguenti strette monetarie

Meno Bitcoin, più monete digitali e sovrane. La Banca centrale europea torna a marcare il perimetro delle nuove valute, abbracciando la rivoluzione digitale a patto che ci siano regole chiare e nemmeno un grammo di speculazione. E lo fa sul finire di un anno in cui Bitcoin e i suoi fratelli hanno inanellato fiammate e rovinose cadute, complice lo zampino di Elon Musk, patron di Tesla. Non è certo un mistero che a Francoforte non abbiano mai digerito le criptovalute, giudicandole un pericolo per la stabilità monetaria globale. E di questo sono convinti anche dalle parti della Federal Reserve, mentre in Italia chi porta avanti la battaglia contro Bitcoin è la Consob di Paolo Savona.

Fabio Panetta, membro del board della Bce con la delega sui sistemi di pagamento, ha detto la sua sui criptoasset, strumenti “privi di utilità economica o sociale e, anzi, alcune cripto-attività rappresentano una fonte di enorme inquinamento e di danno ambientale”. E in generale “sono strumenti fittizi senza valore intrinseco, che non generano flussi di reddito, cedole, dividendi, e non offrono alcun servizio d’uso al possessore. Sono create attraverso procedure informatiche, e non vi è alcun soggetto, nessuna garanzia che ne assicuri il valore”.

Insomma, “di fatto, rappresentano una scommessa, un contratto speculativo ad alto rischio privo di fondamentali. Per questi motivi il loro valore registra fortissime oscillazioni. Come è evidente le cripto-attività sono inadatte a svolgere le tre funzioni della moneta: mezzo di pagamento, riserva di valore e unità di conto”. Il problema è che il valore delle criptovalute è in rapida crescita e attualmente supera i 2.500 miliardi di dollari nel mondo.

“Si tratta di un ammontare cospicuo, in grado di generare rischi per la stabilità finanziaria da non sottovalutare. Esso supera ad esempio il valore dei mutui subprime cartolarizzati che nel 2007-2008 scatenarono la crisi finanziaria globale. Nonostante la ragguardevole dimensione del fenomeno, non vi sono indicazioni che le cripto-attività abbiano svolto o stiano svolgendo funzioni di utilità economica o sociale: esse non sono comunemente utilizzate per pagamenti al dettaglio o all’ingrosso, non finanziano consumi o investimenti, non contribuiscono alla lotta ai cambiamenti climatici”, ha ammonito Panetta.

Inevitabile il riferimento allo strumento legale e sovrano con cui combattere Bitcoin e i suoi simili e al quale il team coordinato da Panetta lavora da anni. “L’euro digitale è un progetto molto importante che credo che alla fine sarà inevitabile attuare. Il mondo si sta muovendo verso la digitalizzazione e sarà difficile che, alla fine, questo progetto non venga attuato in modo molto ampio ed esteso. Se tutto avrà successo per il lancio dell’euro digitale ci vorranno 5 anni”.

A dire il vero, anche la Fed di Jerome Powell ha da tempo messo nel mirino i criptoasset, anche se meno direttamente di quanto abbia fato la Bce. Nelle settimana scorse la banca centrale americana ha ammonito il mondo delle stablecoin, valute digitali ancorate al dollaro.  Se a gennaio 2021 ne circolavano l’equivalente di 28 miliardi di dollari, oggi il dato è cresciuto a oltre 130 miliardi. Società come Tether e Circle, però, forniscono ai trader di criptovalute un modo più pratico per entrare ed uscire da asset assai volatili come Bitcoin ed Ether. Questa prospettiva ha già messo in guardia le banche centrali, che temono la conversione di ingenti quantità di moneta in questa nuova forma di denaro che verrebbe sottratto alla politica monetaria.

Ma c’è un altro nemico, più subdolo: l’inflazione. A pesare sull’intero settore delle criptovalute è infatti il progressivo affermarsi dell’avversione al rischio sui mercati finanziari di fronte all’incertezza innescata dalla variante Omicron e dall’incognita dell’atteggiamento della Fed di fronte alla ricomparsa dell’inflazione, che negli Usa, a novembre, è salita al 6,8%, ai massimi dal 1982. Quando Ronald Reagan era presidente.


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