Il governo di Nairobi ha provato a rinegoziare i maxi-prestiti concessi dalle banche cinesi per realizzare le ferrovie nel Paese. Ma Pechino risponde picche e chiede un rientro immediato dei fondi. Per fortuna Francia, Italia, Belgio, Usa e tanti altri la pensano diversamente
Qualcuno a Nairobi, capitale del Kenya, avrà passato un brutto quarto d’ora. E pensare che doveva essere solo un prestito, per quanto sostanzioso, concesso per la realizzazione di infrastrutture strategiche nel Paese africano, ex colonia inglese. E invece no, tra Cina e Africa il canovaccio si ripete, a tre settimane dal caso, in odore di esproprio, dell’Uganda, raccontato da Formiche.net. Stavolta a finire incastrato nei meccanismi dei prestiti cinesi, vere e proprie trappole pronte a scattare alla prima avvisaglia di insolvenza, è uno degli Stati più avanzati del Continente, infilato pochi anni fa da Pechino nello scacchiere della Via della Seta cinese.
Non può stupire dunque che il governo di Nairobi abbia chiesto negli anni scorsi un maxi-prestito alla Exim Bank (la banca cinese che si occupa di finanziare i Paesi in via di sviluppo) per la realizzazione della linea superveloce da mille km che dovrebbe collegare il porto di Mombasa, nell’estremo sud del Kenya, all’Uganda. Un progetto importante, strategico per un Paese che ha bisogno di nuove ed efficienti infrastrutture. Ad oggi, però, incompleto, con il tracciato che termina nel nulla, a 468 chilometri dal confine, in un’area selvaggia. E ora il governo locale cerca di metterci una pezza recuperando e rimettendo in sesto la ferrovia coloniale costruita dagli inglesi nell’Ottocento, all’incirca sulla stessa tratta.
Il problema è però un altro. E cioè che nelle more dei lavori per la nuova ferrovia, il Kenya ha dovuto versare nelle tasche del Dragone quasi 30 miliardi di scellini kenyoti, più o meno 250 milioni di dollari. E questo per un motivo molto semplice. La pandemia e il conseguente rincaro delle delle materie prime ha affossato parte dell’economia del Paese, il cui governo, retto dal presidente Uhuru Kenyatta, è stato costretto a chiedere una rinegoziazione dei prestiti contratti con gli istituti cinesi, tra cui quello relativo alla ferrovia per l’Uganda.
Da Pechino però, hanno risposto picche, chiedendo al contrario il rientro di parte dei finanziamenti. Il che avrebbe impattato notevolmente sull’economia del Paese e sulla già fragile ripresa, un po’ per i cantieri fermi un po’ per una spesa, il rimborso o parte di esso, non prevista. Pare infatti che Nairobi non si aspettasse il niet cinese ma nonostante tutto non abbia voluto forzare la mano per non innervosire le autorità cinesi ed evitare di far scattare quelle tagliole che, come nel caso dell’Uganda (ma non solo, nel vortice sono finiti anche i vicini della Cina), conducono alla cessione delle infrastrutture.
C’è però chi alle esigenze dell’Africa è andato incontro. La Cina è il primo creditore del Continente, che però indebitato con altri Paesi dell’Ue e del G20 come Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Giappone, Repubblica di Corea, Spagna e Stati Uniti. I quali, loro sì, hanno riprogrammato per Nairobi rimborsi per 291,3 milioni di dollari. Una rinegoziazione che ha previsto anche il congelamento degli interessi per decine di milioni di dollari. Non spiccioli.