Il Paese cresce in modo sostenuto, ma il rincaro dell’energia è un pericolo da non sottovalutare. C’è un’Europa che chiede regole flessibili sui conti e l’Italia ne è portavoce. E su Tim arriva un messaggio a Kkr
Non si può certo dire che l’attesa mancasse, nella grande sala dell’Auditorium Antonianum, a viale Manzoni, a due passi dal quartiere di San Giovanni. Mario Draghi ha affrontato con disinvoltura e un pizzico di umorismo la sua prima conferenza stampa di fine anno, dinnanzi ai quasi 150 giornalisti ben distribuiti negli oltre 500 posti dell’Auditorium. Schivate con sapienza le domande più velenose, tutte concentrate nella prima parte della conferenza, sul suo futuro, Quirinale sì, Quirinale no, sono arrivate le prima risposte sullo stato dell’economia del Paese, a due anni scarsi dall’inizio della pandemia. Con un passaggio sulla partita industriale del momento, la possibile scalata del fondo americano Kkr a Tim.
L’ALLARME DI CONFINDUSTRIA
Una premessa. Poco prima che cominciasse a parlare, il Centro Studi di Confindustria diretto da Stefano Manzocchi, ha lanciato un allarme sul possibile infiacchimento della ripresa, oggi su ritmi del 6%. Omicron e il surriscaldamento dei prezzi con effetti devastanti sulle bollette, è il messaggio, possono giocare brutti scherzi. “Crescono i rischi lungo il sentiero scivoloso di risalita del Pil italiano”, hanno scritto gli economisti di Confindustria.
“Per l’industria pesa il caro-energia, per i servizi i nuovi contagi. Gli occupati dipendenti sono tornati ai livelli pre-crisi, i consumi sono alimentati dall’extra-risparmio accumulato, l’export è ripartito, ma c’è più incertezza sugli investimenti. L’inflazione è molto eterogenea nelle diverse economie”. Per tutti questi motivi “nel 4° trimestre si conferma una frenata dell’economia italiana: preoccupano la scarsità di commodity, i prezzi alti dell’energia, i margini erosi, l’aumento dei contagi. Ma il trend di risalita dovrebbe proseguire: dopo il rimbalzo del 3° trimestre (+2,7%), il Pil italiano è a -1,3% dal livello pre-Covid (da un minimo di -17,9%) ed è previsto completare il recupero a inizio 2022”.
MOTORI AVANTI TUTTA
Poi, è arrivato il turno di Draghi, che domani riunirà la cabina di regia per valutare la nuova stretta anti-contagio per le feste di Natale. Il governatore della Bce diventato premier nel febbraio scorso, ha preso la questione di petto rivendicando un tasso di crescita tra i più sostenuti d’Europa. “La crescita si assesterà oltre il 6% dopo un calo pari quasi al 9% lo scorso anno. Ed è ripartita l’occupazione, abbiamo 500mila occupati in più, 308mila disoccupati in meno. È vero che molta di questa occupazione non è a tempo permanente ma l’aumento c’è stato. C’è stato un miglioramento nei conti pubblici: il rapporto debito pubblico e Pil comincerà a scendere già da quest’anno”, ha spiegato Draghi.
Il premier però sa bene che la partita si gioca in un fazzoletto di terra, quello del Pnrr. Su cui non è ammissibile sbagliare. I presupposti però, sono buoni. “La sfida principale è quella di far aumentare il tasso di crescita strutturale della nostra economia. Il Pnrr è centrale per questa strategia. Oggi posso dirvi che abbiamo raggiunto tutti e 51 gli obiettivi che avevamo concordato con la Commissione europea, e che in questo momento è in discussione alla Commissione la firma dell’accordo operativo che apre il periodo di interlocuzione con la Commissione prima di accordare la tranche dei prestiti previsti”.
IL REBUS DELLE BOLLETTE
Ma se oggi esiste un rischio vero per la crescita, al netto delle varianti Covid, è il rincaro dell’energia. L’Italia, le sue imprese e le sue famiglie pagano ogni mese una energia che il Paese non produce e che perciò costa il doppio. Se poi ci si mette l’aumento dei prezzi delle materie prime, il rischio di un collasso del sistema industriale è significativo. “Il sostegno a famiglie e imprese ci sarà anche oltre quello che è stato già deciso, la situazione anche a seguito dei recenti aumenti del prezzo del gas è veramente urgente, richiede un’azione senza aspettare il prossimo Consiglio europeo”, ha rassicurato Draghi.
“Il motivo di disaccordo al Consiglio europeo era l’accettazione da parte dei paesi dell’Est dell’Its system ma sul fatto di dover procedere a una rapida risposta a questi aumenti non c’è nessun disaccordo. La commissione Ue sta lavorando, ma noi dobbiamo lavorare a livello nazionale”. Di qui, un invito a chi l’energia la produce e la distribuisce, affinché facciano la loro parte. “I grandi produttori o venditori di energia stanno facendo profitti fantastici, l’idroelettrico ha un costo che non è quello del gas ma viene venduto al prezzo del gas”. Perciò bisognerà “chiamare i grandi produttori a partecipare a questo sostegno al resto dell’economia, anche loro devono aiutare imprese e famiglie”.
NIENTE PARAOCCHI SUI CONTI
Attenzione però a non fare i conti senza l’oste. La crescita italiana e persino le risorse in bilancio da destinare al calmieramento dei prezzi energetici, passano per regole europee flessibili e poco ottuse. E qui, il riferimento è al Patto di Stabilità, che i Paesi cosiddetti frugali vorrebbero ripristinare nella sua forma più pura, quella figlia di Maastricht. Ma Draghi è pronto a dar battaglia. “L’Italia farà sentire la propria voce sulla riforma del Patto di Stabilità europeo, con l’obiettivo di arrivare al consenso sulle nuove regole prima della fine del 2022, prima che scada la clausola che sospende le attuali regole, definite dannose”.
Non è tutto. “La mia visione critica delle regole come erano prima è nota, e le ragioni sono note. Oggi è cambiato il quadro europeo, una visione critica trova un consenso quasi generale. Quindi l’Italia è in una buona posizione per far sentire la propria voce. Molto di quello che noi facciamo anche a livello di politica europea è proprio discutere di queste cose, la discussione con la Commissione è appena iniziata. Su questo stiamo lavorando molti Paesi: Spagna, Francia Italia, Grecia, Portogallo e anche altri direi”. Il premier ha poi affrontato il difficile tema degli incidenti sul lavoro. Troppi, decisamente
“L’intervento normativo fatto (a ottobre, ndr) è stato giudicato dal sindacato, con cui è stato elaborato, efficace e abbastanza completo, e però è inaccettabile. Continueremo a lavorare su questo fronte, se la legge approvata un mese fa non è sufficiente, anche se prevede un meccanismo di monitoraggio che richiede tempo per essere applicato, il governo non considera la sua azione terminata. Se il problema continua occorrerà trovare altri sistemi”.
OCCHI APERTI SU TIM
Non poteva mancare un passaggio sulla partita industriale del momento, l’offerta di Kkr per il 100% di Tim. Il governo rimane vigile, per nulla sornione. E Draghi ha colto l’occasione per lanciare un messaggio chiaro agli attori in campo. “Ci sono tre cose che il governo deve tutelare nel futuro dell’assetto societario di Telecom: l’occupazione, l’infrastruttura, cioè la rete, e la tecnologia perché all’interno della società ci sono delle realtà tecnologiche di prim’ordine”.
Dunque, libero mercato sì, purché si tutelino gli interessi del Paese. “Dobbiamo vedere quello che sta succedendo, ancora non è chiaro, ma la configurazione societaria che verrà creata o a cui si perverrà attraverso l’azione degli azionisti attuali o anche attraverso l’azione di governo, dovrà permettere il raggiungimento di questi tre obiettivi. Oggi il governo non è in condizione di dire come vuole fare, non c’è una strada predeterminata. La situazione precedente è in rapida evoluzione, c’è un’Opa annunciata di cui ancora non si conoscono le caratteristiche, c’è una serie di negoziati tra Cdp, Vivendi, gli altri azionisti, ci sono nuove idee quasi ogni settimana, però il punto fisso dell’azione di governo è la tutela di questi tre aspetti”.