Il prossimo anno, secondo Confcommercio, famiglie e aziende italiane andranno incontro ad aumenti su bollette e materie prime per 11 miliardi, complice la stretta russa sulle forniture di gas, che tiene sotto scacco l’Europa. Non un buon inizio
L’anno che verrà sarà difficile per le famiglie. L’inflazione galoppante, dentro e fuori l’Europa, giocherà un brutto scherzo alle tasche degli italiani, ancora alle prese con la quarta ondata della pandemia. In altre parole, aumenti per 11 miliardi derivanti dal caro bollette e dal rialzo dei prezzi. Il dato, impietoso, è contenuto nell’ultima analisi di Confcommercio sugli effetti della ripresa inflazionistica e del caro-bollette sulle famiglie e sulle imprese.
“La vivacità dei consumi che sta caratterizzando il periodo natalizio rischia di subire un brusco e pesante stop. Infatti, il caro-bollette derivante dalla crisi dei mercati dell’elettricità e del gas e la corsa dell’inflazione che, in considerazione degli aumenti attesi già per gennaio, rischia di superare nella parte iniziale del prossimo anno il 4%, potrebbero presentare nel 2022 un conto salatissimo per le famiglie e le imprese del terziario: una maggiore spesa energetica di oltre 11 miliardi per le prime e aumenti di elettricità e gas intorno al 40% per le seconde”, scrive l’associazione dei commercianti.
Per la quale, se nel 2020 le famiglie italiane hanno speso in media 1.320 euro per le spese per energia elettrica e gas (pari al 4,7% della spesa totale annuale), spiega l’ufficio studi, l’esborso è salito a 1.523 euro nel 2021 con un aumento di oltre 200 euro. Ancora più difficile appare la situazione in prospettiva: nel 2022 questa cifra dovrebbe salire a quasi 1.950 euro (+426 euro rispetto al 2021) arrivando a rappresentare il 6,1% dei consumi.
Questo esborso aggiuntivo, in aggregato, cioè per il complesso dei quasi 26 milioni di nuclei familiari, si tradurrebbe in una maggiore spesa energetica, determinata dalla sola componente di prezzo, di oltre 11 miliardi di euro nel 2022. Considerando questa spesa come difficilmente comprimibile da parte delle famiglie, è presumibile che le stesse siano costrette a rinunciare ad altre spese tra quelle non obbligate, prolungando le difficoltà di settori già duramente colpiti dalla pandemia.
Per quanto riguarda le imprese, la crisi che ha investito i mercati dell’elettricità e del gas in Europa non ha paragoni con il recente passato ed ha una gravità che richiede interventi urgenti ed immediati. L’attenuazione delle misure di contenimento della pandemia e il miglioramento delle prospettive economiche nel primo semestre del 2021 hanno infatti alimentato una spinta rialzista nei mercati delle materie prime energetiche che si è via via rafforzata con la ripresa della domanda.
Ed è di oggi un dato che non può passare inosservato. Mentre i prezzi del gas in Europa sono su livelli dieci volte maggiori rispetto solo ad un anno fa (153 euro per kilowattora alla borsa di Amsterdam conto i 15 euro circa di dicembre 2020), sale il numero di società fornitrici di energia che fallisce. Si tratta di gruppi che vendevano energia a prezzi fissi per cercare di contenere la volatilità ma sono stati travolti dalla cavalcata delle materie prime. E pensare che ieri il premier Mario Draghi ha spiegato che l’Europa non ha molti strumenti in mano per fare pressione sulla Russia, che ha ammassato le truppe ai confini con l’Ucraina in vista di una possibile invasione. Soprattutto perché “non è il momento giusto perché l’Europa rinunci al gas russo”, ha aggiunto il premier.
Va bene, ma il problema è proprio lì. Con Gazprom che ha tagliato le forniture di gas attraverso il gasdotto Yamal, che di fatto è ai suoi minimi. La prima conseguenza è stata nell’aumento dei prezzi, mentre l’intero continente si prepara ad una settimana di temperature rigide. Il gasdotto attraversa la Bielorussia e la Polonia verso la Germania: le spedizioni giornaliere sono scese da 27 milioni di metri cubi di venerdì a 5,2 milioni di metri cubi e 4,7 milioni di metri cubi rispettivamente di sabato e domenica scorsi.