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Terre rare e magneti. La mossa di General Motors per il reshoring negli Usa

L’annuncio da parte di General Motors di due accordi separati, ma lungo la filiera dei materiali critici, rappresenta un importante step per la ricreazione dell’industria scomparsa negli anni 90’ e che ha visto accrescere il dominio della Cina. Un settore, quello automotive, duramente colpito dalla crisi logistica ma che continua a trascinare la nuova geografia delle supply chain…

Neanche una settimana più tardi dell’annuncio da parte di Pechino della creazione di un super-colosso di Stato e industriale delle terre rare, gli Stati Uniti rispondono grazie ad un doppio accordo siglato dall’azienda, punta di diamante del settore automotive americano e in piena fase di transizione alla mobilità elettrica.

General Motors ha infatti annunciato che si impegnerà nel rifornirsi di metalli di terre rare e magneti dalle attività produttive che stanno rifiorendo in Nord America. In primo luogo, l’azienda di Detroit entrerà in un long-term agreement con la compagnia californiana MP Materials, erede di Molycorp e precedente proprietaria della miniera di Mountain Pass, per la fornitura di materiali per la produzione della nuova formazione di veicoli elettrici di GM. Grazie agli investimenti del Pentagono e ad una ristrutturazione finanziaria – che vede tuttavia circa il 9,99% delle quote societarie in mano alla compagnia cinese Shenghe Resources – MP Materials ha ripreso le operazioni a pieno regime nel 2020, producendo circa 38,500 tonnellate di materiale grezzo, circa il 15% della produzione globale secondo lo US Geological Survey. L’azienda californiana ha fatto da apri fila per il decoupling dalla Cina in Nord America nel settore dei materiali critici, uno dei quattro segmenti industriali ritenuti strategici dalla Casa Bianca nel suo report di maggio sulle supply chain. La stessa amministrazione Biden sta infatti mettendo pressione sul settore automotive americano, con incentivi ed esenzioni sulle tasse, per ridurre la dipendenza da Pechino.

MP ha infatti annunciato nella giornata di giovedì che investirà per la costruzione di un impianto a Fort Worth, in Texas, per la produzione di magneti, con una capacità di 1,000 tonnellate annuali a partire dal 2023 e che andrà a consumare poco meno del 10% dell’output annunciato di ossidi di terre rare (NdPr). La facility potrà arrivare a rifornire circa 500.000 veicoli elettrici all’anno. Un annuncio che è stato seguito simultaneamente dall’accordo siglato con GM per la fornitura di materiali di terre rare, leghe e magneti, diventando un fornitore sicuro e stabile per i piani della storica casa automobilistica dell’East Coast.

I magneti permanenti sono infatti essenziali per la fabbricazione dei motori elettrici e si pongono in diretta concorrenza con i motori ad induzione (come quelli delle prime Tesla), in quanto garantiscono performance per ora impareggiate e consentono anche di ridurre, grazie a guadagni in efficienza, il peso delle batterie elettriche. Come i semiconduttori, che sono diventati essenziali per ogni aspetto della vita moderna grazie al proliferare di apparecchiature elettroniche e del software, i magneti permanenti sono una tecnologia che sarà sempre più pervasiva e importante nell’economia globale con l’incedere della decarbonizzazione ed elettrificazione dei sistemi produttivi ed energetici. Secondo la società di ricerca Adamas Intelligence, la domanda globale di magneti raddoppierà entro il 2030, trainata principalmente dal settore EVs e dall’industria delle turbine eoliche.

I magneti sono fatti di una lega (NdFeB) di acciaio, boro e neodimio il quale viene quasi esclusivamente estratto e raffinato in Cina, per poi diventare un input essenziale per l’industria di magneti cinese che attualmente domina il mercato in termini di output. Si tratta di un asset al centro della competizione tecno-industriale globale tra Usa, Cina ed Unione Europea che ha di recente varato la sua strategia e visto materializzarsi alcuni accordi per il reshoring sul suolo europeo. Con la crisi delle supply chain e le tensioni tra Washington e Pechino che diventeranno sempre più strutturali, assistiamo dunque ad una maggior regionalizzazione di interi comparti produttivi e che vedono in prima linea le grandi aziende del settore automotive.

“Credo che molte persone fuori dalla nostra industria potrebbero essere scioccate nel realizzare che non vi fosse alcuna attività produttiva negli Usa capace di fabbricare magneti in scala”, ha affermato Shilpan Amin, GM Vice President Global Purchasing & Supply Chain. “Bene, questo è destinato a cambiare”.

GM aveva annunciato il suo business plan per transitare all’elettrico entro il 2035, impegnandosi nell’ultimo anno ad assicurarsi una filiera domestica per rifornire 1 milione di veicoli elettrici che prevede di lanciare sul mercato entro il 2025, dai materiali per i catodi delle batterie al litio fino al potenziale riciclo dei materiali, per una spesa complessiva di 35 miliardi di dollari. Rientra nella nuova logica delle filiere regionalizzate anche l’accordo d’investimento con Controlled Thermal Resources, un progetto di estrazione del litio da fonti geotermiche in California.

Il secondo accordo siglato da GM è con la tedesca Vacuumschmelze, azienda leader nella produzione di magneti in Europa. Come descritto sul sito dell’azienda, è prevista la costruzione di un ulteriore sito produttivo negli Usa (la location e la capacità produttiva prevista non sono state rese pubbliche) grazie ad una fornitura di “domestica di materie prime” in piena attività nel 2024 e che diventeranno input cruciali per i motori elettrici utilizzati nel GMC Hummer EV, Cadillac LYRIQ, Chevrolet Silverado EV e più di una dozzina di altri modelli previsti dalla piattaforma Ultium. Considerando che entro quell’anno l’unico fornitore plausibile di ossidi di terre rare sarà MP Materials, è prevedibile che l’azienda californiana chiuderà il cerchio rifornendo contemporaneamente due original equipment manufacturers (OEM).

Rimangono tuttavia due punti interrogativi. Il primo riguarda la scala industriale. Secondo Adamas Intelligence, per una completa integrazione mine-to-magnet della filiera in Nord America serviranno dai 10 a 20 volte altri annunci come questi rispetto ai piani di elettrificazione previsti nel settore. Inoltre, MP Materials rimane attualmente il più grande (e l’unico) produttore di materiali di terre rare nell’emisfero occidentale, contando su attività di estrazione e processazione in scala che rimangono le più rischiose e capital intensive, soprattutto per la gestione sostenibile delle operazioni. Il secondo, riguarda la questione dei brevetti tecnologici. Come ricorda Reuters, GM era il leader globale nell’industria dei magneti con la sua divisione di R&D Magnequench, ma nel 1995 la compagnia – in un’operazione alquanto torbida – la liquidò, insieme ai brevetti, ad un consorzio finanziario che includeva due partner cinesi. L’accordo, che allora si configurava nel nuovo corso clintoniano votato all’apertura dei mercati e al pieno dispiegamento della globalizzazione, aiutò GM a consolidarsi nel mercato dell’automotive cinese ma diede tuttavia accesso a Pechino ad una tecnologia, all’epoca sviluppata nelle prime fasi dagli scienziati americani, che aveva anche importanti applicazioni militari.

Ad oggi, esistono due brevetti originali per produrre magneti NdFeB sinterizzati che vengono impiegati tanto nel settore automotive quanto nell’eolico offshore: uno di Hitachi Metals, azienda giapponese, l’altro detenuto da NEO Materials (l’erede di Magnequench) di proprietà cinese, acquisito dalla General Motors proprio in quell’occasione. Gli accordi siglati da GM con MP e Vacuumschmelze, pertanto, si configurano come un tentativo di riportare le lancette dell’orologio agli anni Novanta, quando gli Usa erano i principali produttori e detentori delle applicazioni delle terre rare. Rimane tuttavia poco chiaro chi, tra i tre player, comprerà le licenze per la produzione di magneti negli Usa.

In ogni caso, gli sforzi di GM ben si allineano con gli interessi di sicurezza del governo americano: a settembre il Bureau of Industry and Security, su spinta anche delle conclusioni raggiunte nel report stilato dalle agenzie governative coinvolte nella stesura del report della Casa Bianca, ha aperto un’indagine per verificare se le importazioni di magneti dalla Cina costituiscano una chiara minaccia alla sicurezza economica e nazionale.

La realizzazione di una filiera integrata rimane, con la spinta dei privati e il supporto governativo, la miglior strategia per il reshoring di un asset cruciale per la quarta rivoluzione industriale.



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