Meno di un anno fa la cancelliera partecipava alla firma dell’accordo sugli investimenti, ora congelato dalla Commissione. Ora palla al “merkeliano” Scholz e al “falco” Baerbock. Ma la tendenza è chiara, come dimostrano le iniziative transatlantiche anti Via della Seta
È passato quasi un anno da quando Angela Merkel ed Emmanuel Macron, assieme al presidente del Consiglio europeo Charles Michel e alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen annunciavano con Xi Jinping di aver raggiunto l’intesa, dopo 7 anni e 35 round negoziali, per un accordo sugli investimenti (Cai).
Era il 30 dicembre dell’anno scorso. Molto è cambiato. La cancelliera tedesca sta per cedere il testimone a Olaf Scholz, leader socialista e suo vice, ministro delle Finanze negli ultimi quasi quattro anni, e la Germania sta per salutare 16 anni di governo a guida cristiano-democratica per inaugurare una stagione “semaforo” con socialisti, liberali e verdi. Il presidente francese si prepara a una doppia sfida: il semestre di presidenza del Consiglio dell’Unione europea e, in mezzo, le elezioni di aprile che diranno se rimarrà all’Eliseo per altri cinque anni. Il leader cinese ha rafforzato la sua presa sul Partito comunista e rilanciato l’agenda per l’autosufficienza del Paese. Gli Stati Uniti di Joe Biden con Build Back Better World e l’Unione europea con Global Gateway hanno lanciato due iniziative che rappresentano una dichiarata – ed è anche in questa pubblicità che sta la novità – alternativa alla Via della Seta cinese. Quel progetto espansionistico di Pechino a cui l’Italia aveva aderito con la firma del memorandum d’intesa sotto il governo gialloverde di Giuseppe Conte e su cui l’attuale presidente del Consiglio Mario Draghi ha dato segnali molto chiari – “lo esamineremo con attenzione” – in occasione del G7 in cui Biden ha annunciato il piano Build Back Better World.
Dopo gli iniziali timori nel Vecchio continente sulla volontà del nuovo presidente americano di unire il fronte democratico di alleati e partner per sfidare la Cina, Stati Uniti e Unione europea hanno “prospettive sempre più convergenti” verso Pechino “e il suo comportamento sempre più preoccupante”. Sono le parole pronunciate da un alto funzionario del dipartimento di Stato americano prima del recente incontro tra la vicesegretaria Wendy Sherman, a cui è stato affidato il dossier Cina, e Stefano Sannino, segretario generale del Servizio europeo per l’azione esterna, ossia la macchina diplomatica dell’Unione europea.
Il faccia a faccia ha rappresentato la seconda occasione di confronto ad alto livello all’interno del Dialogo Stati Uniti-Unione europea sulla Cina rilanciato a marzo dai capi delle diplomazie, Antony Blinken e Josep Borrell. Alla fine, le due parti hanno rilasciato una dichiarazione congiunta impiegandosi a “continui e stretti contatti” per “gestire responsabilmente la nostra competizione e rivalità sistemica con la Cina”.
Non sfugge l’assenza di riferimenti all’espressione “partner negoziale”, una delle tre, assieme a “rivale sistemico” e “competitor economico”, che compongono l’inquadramento ufficiale dell’Unione europea delle sue relazioni con la Cina.
Né sfugge il cambio di governo in Germania. Il prossimo esecutivo, nato su un accordo di coalizione che menziona Taiwan per la prima volta, sembra intenzionato ad abbandonare l’approccio merkeliano mercantilista e dialogante verso la Cina. “Noi europei non dovremmo farci più piccoli di quello che siamo”, ha detto la prossima ministra degli Esteri, la verde Annalena Baerbock, alla Taz. “La Cina ha enormi interessi sul mercato dell’Unione europea. Dovremmo usare la leva del mercato comune con molta maggior decisione”. Senza dimenticare la trasformazione in falco anti Cina di Christian Lindner, leader dei liberali, prossimo vicecancelliere e ministro delle Finanze.
Ma Noah Barkin, analista delle relazioni tra Unione europea e Cina del Rhodium Group, punta i riflettori sul cancelliere Scholz: “Secondo le persone che lo conoscono bene, non è convinto che criticare la Cina in pubblico serva a qualcosa”, scrive. “È un pragmatico dai toni morbidi, la cui esperienza internazionale è stata plasmata dai suoi sette anni come sindaco di Amburgo, la città portuale tedesca che vive del commercio con la Cina”, aggiunge ricordando anche che Scholz ha vinto le elezioni ispirandosi a Merkel per l’approccio prudente.
Con Merkel la politica estera veniva fatta nella cancelleria. Scholz potrebbe seguire – anche in questo – il predecessore. O potrebbe anche decidere di fare da carota, con Baerbock come bastone verso Pechino. In ogni caso, la due sponde dell’Atlantico sembrano ora più vicine, almeno quando si parla di Cina.
(Foto: Twitter @ABaerbock)