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Missili a Latakia. Così la partita con l’Iran si sposta sul Mediterraneo

Il secondo raid sul porto siriano racconta di come Israele con Teheran intenda portare avanti attività parallele su negoziati sul Jcpoa

Per la seconda volta nel giro di venti giorni, nella notte tra lunedì e martedì 28 dicembre il porto di Latakia, in Siria, è stato colpito da un attacco aereo i cui sospetti ricadono direttamente su Israele. Il bombardamento — probabilmente con missili da crociera — non è così comune, sebbene gli israeliani dal 2013 colpiscono in Siria i passaggi di armi con cui i Pasdaran rinforzano le milizie sciite collegate come la libanese Hezballah (che tecnicamente è ancora in guerra con lo stato ebraico dal 2006). L’aspettò insolito di quanto è successo è che l’attacco ha colpito quel porto sul Mediterraneo.

Latakia è uno scalo nevralgico per la Siria, parte del sistema portuale del Levante (insieme con Beirut e gli altri scali libanesi e Haifa e quelli israeliani), sponde orientali del bacino mediterraneo. La città è il centro di potere di Bashar el Assad: il rais siriano è originario di Latakia, che durante questi dieci anni di guerra civile è stata tenuta protetta in una bolla, al riparo dagli scontri che hanno portato il regime assadista a colare a picco per poi risorgere, vincendo nel conflitto e ottenendo il riconoscimento internazionale di meno-peggio dei governanti possibili per la Siria davanti al rischio rappresentato dal Califfato di Raqqa e dai vari gruppi estremisti ribelli.

Israele difficilmente ammette le operazioni che fanno parte di questa costante campagna di prevenzione: gli attacchi servono a evitare che armi sofisticate finiscano in mano a milizie organizzate che potrebbero usarle contro lo stato ebraico secondo una strategia con cui l’Iran pensa di trasformare la Siria in una piattaforma di deterrenza nei confronti di Israele. A distanza di quasi 72 ore dall’accaduto, i rottami nel porto ancora bruciano: le testimonianze parlano di almeno una grossa esplosione e poi di alcune secondarie, e questo significa che a essere colpito è stato materiale a sua volta esplosivo. Possibile missili, possibile componenti per produrle.

Al porto di Latakia attraccano costantemente navi iraniane, ed è quasi certo che a essere colpito (stavolta come venti giorni fa) sia stato uno o più container scaricato da una di queste. Chi traccia gli spostamenti delle imbarcazioni attraverso i sistemi open source ha segnalato per esempio che prima dell’attacco di inizio mese, al porto siriano era arrivata la “Shar-e-kord”, portacontainer iraniana sotto sanzioni statunitensi per i traffici sospetti, che a marzo era stata colpita mentre era in navigazione nel Mediterraneo orientale — secondo le accuse di Teheran erano stati gli israeliani.

Un aspetto interessante: vicino a Latakia sorge la più importante base aerea russa in Medio Oriente, quella di Hmeimim che coordina l’operazione in Siria, ma che ha un ruolo molto più strategico a livello regionale. Molto spesso navi militari russe con carichi di vario genere fanno scalo a Latakia — per comodità logistica, sebbene la Russia in Siria amministri anche la base navale di Tartus, qualche centinaio di chilometri più a sud. Mosca in Siria ha installato un sistema di protezione aerea che in gergo tecnico viene definito “A2/AD”, acronimo di Anti Access Area Denial, ossia impedisce libertà di movimento agli avversari ed è costituito da diverse batterie di S-400 e S-300 anti-aerei. Serve per difendere il contingente schierato in Siria, più che proteggere il territorio siriano: i russi controllano i cieli della Siria, ma mantengono canali di comunicazione aperti con Israele a cui concedono la possibilità di certi raid.

Lo stesso avviene con gli attacchi aerei statunitensi contro i jihadisti, ma in questo caso Mosca permette a Israele di colpire quelli che sono suoi alleati sul fronte siriano (e non solo), gli iraniani. Evidentemente è una questione di valore e priorità. Quando recentemente il primo ministro israeliano è stato in visita alla Casa Bianca ha lasciato un messaggio: negoziate pure la ricomposizione dell’accordo sul nucleare Jcpoa, ma non chiedeteci di smettere di agire contro l’Iran. Israele ha maturato la convinzione che un nuovo accordo non ci sarà e che ciò che per forza — visto l’impegno diplomatico profuso dai vari attori in campo — uscirà da mi negoziati sul Jcpoa sarà qualcosa che lo scontenterà comunque. Dunque si porta avanti con il lavoro visto che Teheran potrebbe già essere molto vicina alla Bomba. La Russia, che è parte del sistema negoziale che dialoga con l’Iran sul nucleare, lascia spazi pragmatici agli israeliani in Siria: accontentarli per Mosca vale più della partnership con l’Iran, perché è anche parte dello scontro tra modelli con gli Stati Uniti.

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