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Da Kabul a Kiev. Il piano B di Biden per fermare Putin

Una task force del governo e degli 007 americani prepara un piano B per scongiurare un’eventuale invasione russa in Ucraina. Tornano gli Stinger, che fecero tremare l’Urss in Afghanistan. Intanto Washington e Mosca negoziano sul filo (spinato)

È un equilibrio fragile, fatto di aperture diplomatiche e deterrenza, quello che intercorre nelle ultime ore tra la Casa Bianca e il Cremlino. Un passo falso, da una parte e dall’altra, può accendere la polveriera al confine ucraino.

A poche decine di chilometri, tra le città a Sud di Yelna e Soloti, sono schierati 170mila soldati russi in tenuta di combattimento. Le richieste inviate alla Nato da Mosca – fra le altre l’invito a riportare la frontiera ad Est dell’Alleanza a quella delimitata nel 1997, rinunciando a qualsiasi sostegno all’Ucraina – sono considerate per buona parte irricevibili e provocatorie.

Una trattativa dietro le quinte è stata comunque avviata. Ha aperto una strada la visita a Kiev e a Mosca di Karen Donfried, vicesegretaria di Stato stimata da Joe Biden e tra le massime esperte americane di Russia. Non è detto che basti. Ecco perché a Washington DC c’è chi in queste ore sta lavorando a un piano B.

Sul Washington Post David Ignatius racconta i preparativi dell’amministrazione per finanziare se necessario  la resistenza ucraina contro un’invasione militare russa. Sul dossier è al lavoro una task force che comprende la Cia, diverse agenzie del governo e un team di legali per verificare la compatibilità degli aiuti con le leggi americane e internazionali.

In ballo c’è la possibilità di inviare armi e munizioni a Kiev. L’esercito ucraino oggi non è in grado di fronteggiare le truppe russe, anche se, ricorda Ignatius, è due volte più grande di quello che nel 2014 non riuscì a fermare l’invasione russa della Crimea. In Ucraina si respira un clima di mobilitazione nazionale. Un sondaggio dell’Istituto internazionale di sociologia di Kiev svela come più del 50% della popolazione si dichiari disposto a “resistere” a un’eventuale invasione russa, con un ucraino su tre pronto ad abbracciare le armi.

Nel National Defense Authorization Act approvato una settimana fa dal Congresso è già previsto un aumento del budget, trecento milioni di euro, per l’ “Iniziativa per l’assistenza alla sicurezza ucraina”. Ma al vaglio della task force c’è ora un più diretto contributo alle forze armate di Vladimir Zelensky. Su richiesta di Kiev, gli Stati Uniti potrebbero inviare gli Stinger, i missili anti-aerei già inviati dalla Cia ai Talebani tra gli anni ’70 e ’80 per combattere l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Secondo il Wall Street Journal, il Pentagono starebbe valutando di re-direzionare verso Kiev alcuni equipaggiamenti militari precedentemente destinati alle Forze di sicurezza afgane capitolate contro i talebani ad agosto. Fra questi, ironia della sorte,  i celebri elicotteri di fabbricazione russa Mi-17.

Qualunque piano dovrà ricevere la luce verde del Consiglio di Sicurezza nazionale. Cresce intanto il pressing del Congresso per convincere Biden a prendere misure più efficaci delle sole sanzioni per scongiurare un’invasione russa in Ucraina. Sette anni fa, lamenta un fronte di parlamentari bipartisan, fu l’esitazione di Barack Obama a permettere alle forze armate russe di annettere la Crimea.

Non è una decisione che l’attuale amministrazione prenderà a cuor leggero: si teme infatti che un invio significativo di equipaggiamento militare possa offrire a Mosca il pretesto per passare ai fatti. Si ripartirà dagli accordi di Minsk siglati tra il 2014 e il 2015. Spiega Ignatius che la Casa Bianca è pronta a fare alcune concessioni, ad esempio riconoscere l’autonomia di fatto dei separatisti russofoni nel Donbas. Non ha alcuna intenzione invece di soddisfare il “diktat” del Cremlino chiudendo ufficialmente le porte a un’adesione dell’Ucraina alla Nato – adesione che comunque non è all’ordine del giorno.



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