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Turchia-Africa. Così Erdogan vuole guidare il Secondo Mondo

Il presidente turco approfondisce la partnership con i Paesi africani mostrandosi come il leader di una parte di mondo che può cercare in lui risposte, sulle armi come sui vaccini

Il vertice di due giorni sulla partnership Turchia-Africa iniziato venerdì 17 dicembre arriva sulla scia di un forum di affari di alto livello a ottobre che si è concentrato su investimenti e commercio e mentre i rapporti tra Ankara e diversi Paesi africani crescono sia nei numeri che nella qualità.

La prossima fase (già in corso) di questo rapporto in rapida fioritura è la sicurezza, con una schiera di leader africani che cercano di acquistare hardware militare a prezzi più economici e con meno vincoli, fa notare un articolo di France 24 piuttosto interessato a marcare queste dinamiche.

Aspetti che Parigi, orientato a mantenere influenza sulla Françafrique, sente come ragione di competizione con la Turchia, un alleato solo formale – in quanto membro della Nato – contro cui ha avuto modo di dimostrare diversi gradi di separazione; lati opposti del Mediterraneo, attori in sovrapposizione (e dunque contrapposizione) su molti teatri.

I leader e gli alti ministri di 39 paesi – inclusi 13 presidenti – hanno assistito al discorso introduttivo con cui Recep Tayyp Erdogan ha spiegato quanto sia importante per Ankara la proiezione africana. “Un miliardo e trecento milioni di persone vivono nel continente africano e non è rappresentato al Consiglio di sicurezza”, ha detto Erdogan sabato. “Questa è un’enorme e flagrante ingiustizia. Sono ancora emozionato ed eccitato ogni volta che visito il continente”, ha aggiunto.

Il presidente turco ha ricordato di aver fatto più di 50 viaggi nel continente dal 2004 (hanno in cui s’è seduto sul trono turco): “Questo summit è una prova del fatto che la Turchia è interessata all’Africa e l’interesse della Turchia per l’Africa non è un interesse temporaneo, è un impegno costante. I nostri fratelli e sorelle africani stanno dimostrando di essere interessati a una migliore cooperazione con la Turchia”.

La Turchia ha già una base militare in Somalia, e Marocco e Tunisia hanno ricevuto la prima consegna di droni da combattimento turchi a settembre, mentre in Tripolitania (Libia occidentale) le forze regolari turche e qualche migliaio di mercenari siriani affiliati si muovono come fossero padroni di casa.

I turchi in Libia si sentono forti dell’aver fornito assistenza militare quando il precedente governo onusiano era finito sotto l’attacco delle milizie dell’Est, aiutate da russi, egiziani ed emiratini. Erdogan accettò un patto di cooperazione mentre nessuno tra Usa e Ue, e Onu, intendeva sbilanciarsi e approfondire il proprio coinvolgimento.

La vicenda libica è emblematica di come l’idea del presidente turco sia quella di fornire a certi paesi un modello alternativo a quello multilaterale europeo e americano e a quello delle Nazioni Unite. Meno scrupoli politici e diplomatici, meno attenzione a diritti, morale ed etica, per ottenere in cambio interessi di ritorno.

Sotto quest’ottica funziona come buon paradigma anche il mercato degli armamenti: la Turchia fornisce droni tecnologicamente avanzati (e con prezzi buoni) a paesi che non potrebbero riceverli dalle case di produzione occidentali perché hanno regole di compliance molto più stringenti, basate anche su diritti democratici e valori liberali.

E così, l’Angola è recentemente diventata l’ultima in ordine cronologico a esprimere un interesse per i velivoli senza equipaggio (Uav) turchi proprio durante la prima visita di Erdogan nel paese dell’Africa meridionale. Era in ottobre, e il presidente russo con una serie di tappe nel continente aveva espresso il senso dell’interesse della sua Turchia sull’Africa.

Un altro esempio: ad agosto la Turchia ha firmato un impegno di cooperazione militare con il primo ministro etiope Abiy Ahmed, che è coinvolto in una guerra sanguinosa contro i ribelli del Tigray. Il conflitto che dura da un anno ha prodotto una situazione devastante in una regione strategica come il Corno d’Africa (uno dei centri di attenzione turco, tra l’altro). I droni di Ankara stanno aiutando Ahmed a bombardare i tigrini.

La Russia è stata l’attore dominante sul mercato africano delle armi, rappresentando il 49 per cento delle importazioni del continente tra il 2015 e il 2019, secondo lo Stockholm International Peace Research Institute (SIPRI). Ma l’interesse per le armi turche sta raggiungendo l’apice: da qui passano iniziative di cooperazione più ampia. Su questo (anche) si snodano parte delle complicazioni del rapporto Mosca-Ankara.

Le armi sono un vettore: la fornitura di armamenti tecnologici dà un’iniezione di fiducia a governi autoritari, Erdogan si costruisce l’immagine di partner affidabile diffondendo un “Ankara Consensus” che ruota attorno al trasmettere vicinanza a certi paesi, ai loro destini, ai loro interessi. Il presidente turco si pone come un collettore per le istanze del Secondo Mondo, su cui vorrebbe mettere la Turchia alla guida.

Erdogan ha annunciato che la Turchia, nei prossimi mesi, avrebbe condiviso 15 milioni di dosi di vaccino Covid ai paesi africani  aggiungendo che era “una vergogna per l’umanità in generale” che solo il 6 per cento della popolazione africana sia stata vaccinata finora. È un enorme forma di aggancio a quel Secondo Mondo che soffre la pandemia più del primo, impreparato dal punto di vista medico-sanitario, debole da quello socio-economico e politico, diviso da una faglia che in questo come in molti altri casi l’epidemia ha approfondito.

Nei primi undici mesi del 2021, il commercio bilaterale ha raggiunto i 30 miliardi di dollari, ha detto Erdogan sabato, e la Turchia ha pianificato di aumentarlo a più 75 miliardi nei prossimi anni. Erdogan ha aggiunto che circa 25mila africani sono impiegati nel continente in aziende turche, in progetti del valore totale di 78 miliardi di dollari, e più di 14mila studenti africani hanno studiato in Turchia.

“Negli ultimi anni questi paesi [africani] sono diventati sempre più consapevoli del loro potenziale unico, non solo per la forza economica – ha detto Erdogan – ma anche per le capacità diplomatiche e militari. Pertanto, questi paesi sono diventati più aperti alle nuove potenze regionali e globali, compresa la Turchia, per aumentare i loro impegni per difendere i loro interessi”.

Il settore della difesa è uno di quelli che serve per cementare la reputazione turca, un modo con cui Erdogan vuole mostrarsi comprensivo e vicino alle necessità dei suoi interlocutori africani. Da tempo sono state avviate campagne congiunte contro i gruppi armati, e la rete di clienti in crescita è un’ottima merce di contatto e scambio di una relazione che non riguarda solo razzi, pistole, carri armati e fucili, o droni, ma anche hardware tecnico come quello per lo sminamento fornito al Togo.

La Turchia ha istituito una rete di 37 uffici militari in tutta l’Africa, e questo certamente aiutare Erdogan a raggiungere l’obiettivo di triplicare il volume annuale del commercio con il continente a 75 miliardi di dollari nei prossimi anni.

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