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Quella mina fiscale dietro lo stop al Build Back Better. Tra Gilti e minimum tax

Biden

Lo stop al Senato dei lavori per l’approvazione del pacchetto pandemico rischia di fermare l’armonizzazione tra l’attuale sistema fiscale americano rivolto ai profitti delle multinazionali (Gilti) e la global minimum corporate tax, non ancora operativa. Il risultato sarebbe una doppia imposizione

Un giochino pericoloso, di quelli da non prendere sottogamba. Due tasse che si sovrappongono, raddoppiando il peso. Succede ai tempi della minimum global tax, la tassa flat approvata in seno all’Ocse e dal G20 a guida italiana, ora in attesa di trovare applicazione presso i Paesi aderenti, finalizzata a garantire un prelievo del 15% sui profitti generati dalle multinazionali direttamente nel luogo di attività. Gli Stati Uniti rischiano il corto circuito fiscale il che, in tempi di inflazione al 6,8% e variante Omicron che infuria, non è una bella notizia. La colpa?

Semplice, lo stop improvviso al Build Back Better, piano pandemico per le infrastrutture e il clima, clamorosamente a rischio dopo che il senatore democratico Joe Manchin ha dichiarato di non voler votare il pacchetto da 1.750 miliardi voluto da Joe Biden. Provvedimento che adesso rischia seriamente il naufragio al Senato, dove i democratici hanno una maggioranza di un singolo voto. Si dà il caso che tra le misure del Build Back Better sia stata prevista anche la revisione della cosiddetta Gilti (Global intangible law tax income), il regime di tassazione nato con la riforma fiscale americana del 2017 con l’obiettivo di sottoporre a un’aliquota fiscale del 10,5% il reddito imponibile generato all’estero da società controllate da una holding con base negli Usa attraverso una partecipazione pari o superiore al 10%. In questo modo gli Stati Uniti hanno allargato la loro base imponibile anche alle controllate americane ma attive all’estero. Una sorta di minimum tax formato Usa.

Ora, la mancata armonizzazione della Gilti con la global tax, presto operativa, rischia di creare una pericolosa sovrapposizione, la quale si sarebbe potuta scongiurare con l’approvazione del Build Back Better. Il rischio, ha scritto il Think Tank americano Tax Foundation, è che le imprese americane con sussidiarie sparse per il mondo si ritrovino a fronteggiare aliquote di gran lunga maggiori rispetto a quella base della Gilti (10,5%) o della global tax. Proprio in virtù di questa combinazione micidiale.

“L’aliquota dell’imposta minima globale è del 15%, ma senza l’armonizzazione, l’imposta sarebbe determinata per ciascun Paese in cui una società ha profitti, piuttosto che con un metodo univoco e uniforme. In altre parole società statunitense che oggi paga le tasse in base ad aliquote Gilti, potrebbe essere costretta a versare un domani sia le tasse previste dalla medesima Gilti, sia quelle previste dalla global tax”, si legge. Il problema sta proprio qui. L’approvazione del pacchetto pandemico avrebbe di fatto permesso alla global tax di subentrare alla Gilti, mentre ora non appena operativa, la prima potrebbe trovarsi sguarnita della cornice normativa grazie alla quale prendere il posto della seconda.

Il rischio delle multinazionali è quindi quello di essere intrappolate tra due serie di regole. Qualcuno dovrebbe far cambiare idea a Steve Manchin.

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