Secondo Axios, gli emiratini stanno chiedendo a Washington di includere i ribelli yemeniti nella lista dei terroristi. L’amministrazione Biden aveva rallentato il processo perché considerato sconveniente per altri interessi, ma ora pare costretta alla scelta
Il ministro degli Esteri emiratino, Abdullah Bin Zayed, ha chiesto al segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, di inserire nuovamente i ribelli yemeniti Houthi nella lista delle organizzazioni terroristiche: la richiesta è stata fatta ieri, lunedì 17 gennaio, durante una conversazione telefonica riservata di cui però un alto funzionario emiratino ha parlato con Barak Ravid di Axios.
È stata la conseguenza politico-diplomatica dell’attacco con droni subito dagli Emirati Arabi Uniti poche ore prima, quando un’area di carico delle autocisterne della petrolifera Adnoc e un hangar dell’aeroporto di Abu Dhabi sono stati colpiti da velivoli senza piloti e missili lanciati dallo Yemen – rappresaglia per alcune evoluzioni del conflitto yemenita su cui gli emiratini hanno avuto un ruolo.
L’altro genere di rappresaglia, quella militare, si è sfogata (per ora) nella nottata tra lunedì e martedì 18 gennaio: F-15 della coalizione a guida saudita che dal 2015 combatte senza successo i ribelli sudisti in Yemen hanno martellato Sanaa, colpendo alcune abitazioni dei leader del gruppo. Gli Emirati hanno partecipato al raid, su cui Stati Uniti e Regno Unito avrebbero lavorato con l’intelligence per passare informazioni sugli obiettivi (questa informazione non è confermabile, ma piuttosto credibile).
Meno di un mese dopo aver assunto l’incarico, il presidente statunitense, Joe Biden, ha respinto la decisione dell’amministrazione Trump sulla designazione terroristica per gli Houthi – si era tratto di un blitz politico velenoso messo in piedi dall’ex segretario di Stato, Mike Pompeo, il giorno prima dell’insediamento di Biden. Se per i trumpiani era un modo per accontentare gli alleati sauditi ed emiratini e continuare a pressare l’Iran – che fornisce armamenti al gruppo yemenita, gli stessi che ieri hanno colpito Abu Dhabi e negli scorsi mesi/anni Riad – e per mettere in difficoltà il nuovo presidente su quei due fronti, per il democratico serviva inviare un messaggio opposto.
È vero che gli Ansar Allah (il nome del braccio armato degli houthi) sono responsabili di aver ostacolato l’assistenza umanitaria alla popolazione, ma nel conflitto anche i sauditi (e gli emiratini) non hanno fatto troppo di meglio; anzi, ci sono molte polemiche su come sia stata spesso lasca la discriminazione dei bersagli e le bombe della colazione siano finite anche su obiettivi civili. Biden intende(va) rimodulare il rapporto con Riad e Abu Dhabi, ha bloccato per questo spedizioni di armi (formalmente causa Yemen), e contemporaneamente intende(va) anche ricomporre l’accordo Jcpoa sul nucleare iraniano.
La designazione poteva essere un complicazione su quest’ultimo obiettivo, allo stesso tempo legittimando troppo i desiderata saudo-emiratini, per questo ha frenato. Ora, con l’attacco di lunedì – inusuale, ma non unico nel suo genere – Biden si trova davanti una problematica più ampia, con l’azione degli Houthi che si piazza nell’intersezione tra guerra in Yemen, sicurezza nel Golfo e crisi delle relazioni con Teheran.
Il consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan, è stato colui che per la Casa Bianca si è occupato di condannare l’attacco degli Houthi: “Lavoreremo con gli Emirati Arabi Uniti e i partner internazionali per ritenerli responsabili”, ha detto in una dichiarazione. “Il nostro impegno per la sicurezza degli Emirati Arabi Uniti è incrollabile, e siamo al fianco dei nostri partner emiratini contro tutte le minacce al loro territorio”, dice Sullivan consapevole che una red line è stata violata e Abu Dhabi va ascoltato.
Gli emiratini hanno dimostrato nel corso di questo primo anno e mezzo di amministrazione Biden di essere alleati affidabili. Hanno partecipato attivamente al piano di riconciliazione generale che la strategia americana ha pensato per la regione del Mediterraneo allargato (area MENA nella dottrina Usa), non solo facendo da playmaker nell’allargamento degli Accordi di Abramo, ma avviando contatti con la Turchia e con l’Iran, rivali regionali. A Washington questo piace, perché serve. Contemporaneamente Abu Dhabi ha portato avanti i propri interessi, per esempio nella crisi etiopica, o in Sudan, o nei rapporti con la Cina, e questo piace meno agli americani.
Gli emiratini hanno chiesto pubblicamente alla comunità internazionale di condannare l’attacco, che si porta dietro il rischio di alterare quel delicato equilibrio che si stava costruendo nella regione. Washington ha davanti a sé la necessità di dare supporto ad Abu Dhabi, ma designare gli Houthi adesso però significherebbe dare preferenza a quanto accaduto negli Emirati rispetto a quanto accade molto più frequentemente in Arabia Saudita. Inoltre, questo rientra nelle negoziazioni con l’Iran: quali conseguenze?
Il regime iraniano vede l’amministrazione Biden come debole, si sente in una posizione di forza dimostrabile anche attraverso azioni come quelle degli Houthi, sebbene i ribelli yemeniti seguano un’agenda personale. Teheran sta provando a ottenere il miglior accordo possibile e per farlo rinvia le decisioni consapevole che questo potrebbe consentire il massimo progresso al programma nucleare.
Per Washington la partita da gestire è complessa, basta pensare che all’attacco potrebbero aver partecipato anche le milizie sciite irachene, che sono infuriate con gli Emirati perché li accusano di aver facilitato la loro sconfitta alle ultime elezioni (queste milizie attaccano spesso basi americane in Iraq, e sono collegate ai Pasdaran).
Intanto Leonid Slutsky, presidente della commissione per gli affari internazionali della Duma di Stato, ha condannato l’attacco degli Houthi. L’ha definita “oltraggiosa incoscienza politica” e ha accusato gli Houthi di aver commesso crimini contro la popolazione yemenita. Israele ha offerto la sicurezza e il supporto dell’intelligence degli Emirati Arabi Uniti dopo l’attacco di ieri, ha detto il primo ministro israeliano Naftali Bennett al principe ereditario emiratino Mohammed bin Zayed.