Oltre 2,5 trilioni di dollari di Pil vengono prodotti in aree del Medio Oriente e Nord Africa ad alto rischio per via della diminuzione delle disponibilità idrica. Un elemento ulteriore di instabilità
Il 6% per cento della popolazione mondiale vive in una regione in cui è contenuto solo l’1% di risorse idriche: il Medio Oriente. Gli effetti di questa situazione, destinati a peggiorare con il procedere del global warming e la crescita demografica, sono stati già subiti dall’Iran con la stagione di proteste contro l’establishment a cui ha dato il via la crisi idrica in alcune aree del Paese, ma si sono mostrati anche sull’accordo dall’alto valore geopolitico tra Giordania, Emirati Arabi Uniti e Israele.
Nel giro di meno di quattro decenni, la quantità di acqua dolce a disposizione di un residente nell’area MENA (Middle East and North Africa) è stata dimezzata, da 3mila metri cubi a persona a 1500, in gran parte a causa della rapida crescita della popolazione, ma anche a causa di un sensibile inizio di riduzione delle risorse idriche. Vale la pena ricordare che la media sulla Terra è di 7mila metri cubi. Al momento, 16 dei 25 paesi dei Paesi con livelli di stress idrico più pronunciato si trovano nella regione.
Il cambiamento climatico ridurrà la quantità e la qualità dell’acqua nella maggior parte delle regioni aride e semiaride, oltre ad aumentare la frequenza di inondazioni e siccità in tutto il mondo e l’area MENA risentirà di questo in modo molto pronunciato in relazione al numero di abitanti e alla concentrazione di piani di sviluppo lanciati da Paesi come gli Emirati, l’Arabia Saudita, il Qatar, o Israele e l’Egitto. Entro il 2050, la scarsità d’acqua potrebbe costare qualcosa stimabile tra il 6 e il 14% del Pil dell’intera regione ogni anno: secondo un’analisi della World Bank, nell’area la domanda idrica quintuplicherà entro il 2050.
Intervistato dalla CNN, il Segretario Generale dell’IDA, Shannon McCarthy, spiegava che gli impianti di dissalazione si concentrano soprattutto nei paesi del Golfo Persico, dove in alcuni casi l’acqua trattata raggiunge il 90% di quella utilizzata per usi domestici. Il 48% di questo genere di impianti si trova nell’area, raccogliendo investimenti che nel 2022 toccano i 4 miliardi di dollari. La dissalazione è una risorsa nella risorsa e uno dei pochi metodi per permettere una forma di equilibrio.
Come successo con la riapertura delle relazioni tra Giordania e Israele, questo genere di impianti per accedere all’acqua sono già motore di relazioni intra-regionali e internazionali. Allo stesso tempo portano nella regione investimenti dall’esterno: ora la dissalazione è molto più conveniente del passato – un tempo un metro cubo di acqua dissalata costava 10 dollari, ora è sotto i 50 centesimi.
Ci sono inoltre opportunità non sfruttate per aumentare la sicurezza idrica nell’area MENA. Circa l’82% delle acque reflue della regione non viene riutilizzato; sfruttare questa risorsa genererebbe una nuova fonte di acqua pulita. Circa l’84% di tutte le acque reflue raccolte nei ricchi paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti) viene trattato a livelli di sicurezza igienica, ma solo il 44% viene riutilizzato.
Secondo uno studio condotto dal World Resource Institute e della Banca Mondiale, ci sono tre opzioni per evitare stress idrici ulteriori: aumentare l’efficienza agricola, tramite sementi che richiedono meno acqua, irrigazioni di precisione, investimenti per aumentare la produttività e l’efficienza, oltre che consumi più sostenibili; investire in infrastrutture grigie e verdi, ossia infrastrutture costruite (come i tubi e gli impianti di trattamento) e le infrastrutture verdi (come le zone umide e gli spartiacque sani) possono lavorare in tandem per affrontare i problemi di approvvigionamento idrico e di qualità dell’acqua; trattare, riutilizzare e riciclare per creare nuove fonti d’acqua.
Il 71% del Pil della regione Medio Orientale e Nord Africana viene prodotte in zone in cui la carenza di risorse idriche è molto elevata (in controtendenza con la media mondiale, dove è il 22% a trovarsi in condizioni simili). In valore assoluto è stato stimato che 2,5 trilioni di dollari di Pil sono attualmente prodotti in zone da considerarsi a rischio per via di una diminuzione costante della disponibilità idrica. Si tratta di un ulteriore fattore di instabilità in un’area che sta faticosamente cercando equilibri