Il governo dell’isola nell’Oceano Indiano prova a chiedere la ristrutturazione del debito tossico maturato con il Dragone, ma per tutta risposta riceve un secco no. L’India però interviene e rinegozia i prestiti con il Paese asiatico, creando una saldatura nel nome della lotta al ricatto finanziario cinese
Prima o poi doveva succedere. In Asia si sta aprendo un primo fronte anti-cinese. Il campo di gioco, nemmeno a dirlo, è quello del debito venduto dal Dragone ai Paesi in via di sviluppo, dall’economia più fragile e vulnerabile. Un progetto su scala globale, che poggia su trappole travestite da generosi prestiti ma, come raccontato da Formiche.net, in parte fallito nel bacino più importante, su cui Pechino aveva puntato tutte le sue energie: l’Africa.
Ora però, all’indomani dalla ritirata d’Africa, si apre un fronte più vicino a casa. Uno dei Paesi in area cinese più indebitati con la Cina è Sri Lanka, che nel corso degli anni ha accumulato verso Pechino e le sue banche obbligazioni per oltre 8 miliardi di dollari. Per un Paese dalle dimensioni ridotte quale Sri Lanka, è molto. Nelle settimane scorse il governo di Colombo, già alle prese con una crisi finanziaria acuita dalla pandemia, ha chiesto ufficialmente la ristrutturazione, ottenendo per tutta risposta un secco no. Di conseguenza, se lo Sri Lanka non dovesse garantire i rimborsi nei prossimi mesi, il Dragone tirerà fuori gli artigli e azzannerà tutto quello che di buono può offrire il piccolo Paese asiatico.
Ma ecco che il caso singalese apre a un inaspettato asse. Si dà il caso infatti che oltre alla Cina, un creditore di peso di Sri Lanka sia anche l’India, che certamente non è in ottimi rapporti con Pechino. Il governo di Nuova Delhi a dicembre ha prestato 1,5 miliardi di dollari a Colombo, il quale in scia alla richiesta presentata alla Cina, ne ha chiesto un’immediata rinegoziazione. Stavolta però la risposta è stata affermativa e persino accompagnata da un caldo invito a non scendere a compromessi con Pechino.
La mano tesa allo Sri Lanka è arrivata durante un incontro virtuale tra il ministro degli Affari esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar e il ministro delle Finanze dello Sri Lanka Basil Rajapaksa. In particolare l’India ha esteso la scadenza del prestito, 500 milioni su 1,5 miliardi, a tre mesi. Quello che però conta è il messaggio politico di fondo, in chiara chiave anti-cinese. Come a dire, se la Cina non aiuta Sri Lanka, lo farà l’India.
L’India, ha detto Jaishankar, sarà un “partner fermo e affidabile dello Sri Lanka e prenderà iniziative per sostenere il Paese in questo importante frangente con altri partner internazionali. Siamo sempre stata al fianco dello Sri Lanka e continueremo a a farlo in tutti i modi possibili per superare le sfide”, Cina inclusa. Chissà che non frani tutto, come in Africa, dove le banche cinese, dopo essersi tuffate a capofitto nel Continente per impadronirsi di industrie, infrastrutture, asset, sono diventati più caute. Motivo? Molti Paesi hanno raggiunto il limite della loro capacità di indebitamento, con la seria prospettiva di un default. E non hanno sufficienti asset da ipotecare o cedere a titolo di risarcimento. E per le banche del Dragone non c’è stato nulla da chiedere o pretendere.