L’Italia risponde sì all’appello del ministro degli Esteri lituano Landsbergis per un fronte unito contro le pressioni esterne, spiega il sottosegretario. Poi traccia la roadmap per un vero e proprio “partenariato mediterraneo”
Nei giorni scorsi, in un’intervista con Formiche.net, Gabrielius Landsbergis, ministro degli Esteri lituano, ha fatto appello all’Italia e all’Unione europea affinché il sostegno dichiarato alla Lituania nel braccio di ferro con la Cina su Taiwan si traduca in “azioni e politiche” anti-coercizione.
Benedetto Della Vedova, sottosegretario agli Affari esteri, l’Italia come intende muoversi?
Assieme ai partner europei e alle istituzioni Ue abbiamo chiaramente espresso la nostra solidarietà alla Lituania, rigettando come inaccettabile ogni forma di indebita pressione o coercizione politica o economica nei confronti di uno Stato membro. Questo richiede, senza esitazioni, la solidarietà e la coesione europea. D’altro lato, ritengo che questa compattezza di approccio sia essenziale non solo per “fare muro”, ma più in generale per definire una politica unitaria nei confronti della Cina in modo che la Ue sia in grado di garantire nostri interessi senza rinunciare a promuovere i nostri valori. Anche in un momento di forte competizione e di tensioni come l’attuale.
Come agire?
Al di là del caso specifico, dobbiamo certamente porci la questione della nostra capacità di resistere a crisi che mettono a rischio le catene di approvvigionamento essenziali dei nostri sistemi economici. Il Covid ha evidenziato molti fattori di debolezza delle nostre economie, oltre al tema energetico, cui dobbiamo reagire dotandoci di strumenti adatti. Lo stesso vale per ogni forma di concorrenza sleale e di coercizione economica che danneggiano l’intero sistema del commercio mondiale basato su regole chiare nell’interesse di tutti e che l’Italia da sempre sostiene. Proprio per questo stiamo concretamente lavorando assieme ai partner Ue a un Regolamento sulla protezione dell’Unione e dei suoi Stati membri contro atti di coercizione economica da parte di Paesi terzi, uno strumento che va ad aggiungersi agli altri della toolbox, la cosiddetta cassetta degli attrezzi europea, per rafforzare la resilienza delle nostre economie.
A dicembre, la Commissione europea ha presentato la proposta di uno strumento anti-coercizione economica. Alla fine anche l’Unione europea è stata costretta a rafforzare uno strumento, quelle delle sanzioni, che ha sempre rifuggito?
La proposta di anti-coercizione non è, in realtà, uno strumento sanzionatorio ma di politica commerciale. Andrà infatti a integrare, come dicevo, la toolbox di difesa commerciale dell’Ue per consentirle di reagire, con contromisure mirate e proporzionate, a minacce coercitive da parte di Paesi terzi che esercitano pressione economica, colpendo i flussi commerciali e gli investimenti Ue, con l’obiettivo di provocare un cambio di linea politica (ritiro, modifica o adozione di un provvedimento) nell’Ue oppure in uno dei suoi 27 Stati membri. Bisognerà in ogni caso valutare attentamente le possibili implicazioni nell’ambito della Politica estera e di sicurezza comune, per far sì che il ricorso a tale strumento avvenga coerentemente con i suoi principi e obiettivi. Nella sua bozza iniziale, proposta dalla Commissione e attualmente al vaglio del Consiglio, l’applicazione delle contromisure è ipotizzabile soltanto come rimedio di ultima istanza e principalmente con funzione di deterrenza. L’Ue cercherà, infatti, di trovare una soluzione diretta con il Paese terzo che ha minacciato o che sta esercitando la coercizione, in primo luogo, attraverso strumenti diplomatici (mediazione, conciliazione e buoni uffici) oppure di natura giurisdizionale (arbitrati internazionali) e ricorrendo, solo se e quando necessario, alle contromisure previste da tale nuovo strumento.
Che posizione ha assunto il nostro Paese?
Come Italia, abbiamo sempre sostenuto l’esigenza di ampliare la toolbox della politica commerciale Ue con uno strumento utile a contrastare simili minacce e misure coercitive unilaterali di natura commerciale e a tutelare, anche su questo fronte, i propri interessi economici, rispondendo in modo preciso e bilanciato e, ovviamente, in maniera compatibile con il diritto internazionale, con le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio e in linea con le competenze del Consiglio nell’ambito della Pesc (Politica estera e di sicurezza comune, ndr). Questo strumento per essere operativo dovrà comunque passare per l’approvazione del Consiglio e di quella successiva del Parlamento europeo.
Negli ultimi mesi abbiamo visto con maggior frequenza riunioni nel formato Quint, con gli Stati Uniti e le quattro grandi d’Europa, cioè Francia, Germania, Italia e Regno Unito. È questione di fiducia con gli alleati?
Effettivamente negli ultimi mesi, a fronte di questioni internazionali complesse e di crisi anche acute, si è confermata una forte intesa politica tra i grandi alleati Nato e tra i principali Paesi dell’Unione europea. Consultazioni in formati come il Quint comportano una particolare responsabilità e un accresciuto impegno, specie perché finalizzate a promuovere punti di equilibrio che possano essere condivisi da tutti gli altri alleati e partner Ue, nell’interesse comune. In entrambi i consessi il nostro Paese svolge da sempre un ruolo di grande centralità e di forte proposta politica. La conferma di tale centralità oggi trae alimento anche da una azione di governo che è da tutti riconosciuta come equilibrata e autorevole.
Come rendere il ritorno dell’Italia a questi tavoli irreversibile?
Ora serve rendere tale coinvolgimento irreversibile, come dice lei, giocando bene le nostre carte e sfruttando la nostra tradizionale abilità nell’attuare una “connettività politica”, vale a dire la capacità di utilizzare gli strumenti e le istituzioni – i fora multilaterali e formati di dialogo come il Consiglio Nato-Russia, il Partenariato orientale, l’Osce, il Consiglio d’Europa, di cui siamo attualmente presidenti di turno del Comitato dei ministri, e, appunto, il Quint – per promuovere la riduzione delle tensioni e contribuire all’individuazione di soluzioni condivise a situazioni di conflittualità. Comunque, ripeto, l’obiettivo deve essere quello di una posizione della Ue unitaria e forte.
Ha recentemente incontrato una delegazione della commissione Affari esteri del Congresso dei deputati spagnolo. Tra i temi in agenda, le complesse dinamiche del Mediterraneo, Libia e Tunisia in primis. Come può il dialogo italo-spagnolo contribuire ai prossimi passi dell’integrazione europea?
Il contesto globale post-pandemia si presenta profondamente cambiato: dopo una delle maggiori crisi mondiali della storia moderna, l’Ue deve ora sfruttare al meglio tutti gli strumenti a sua disposizione – dall’aiuto allo sviluppo agli investimenti in Paesi partner, dai programmi e accordi di collaborazione settoriale a vere e proprie strategie di partenariato ad ampio spettro – per avere un ruolo più attivo e una voce più incisiva nel mondo. Proprio le dinamiche del Mediterraneo sono un significativo esempio dell’ampia consonanza di vedute fra Italia e Spagna e del grande potenziale che questa offre per l’affermazione di una Europa più forte e più coesa anche nelle relazioni con i Paesi terzi, a partire da zone di tradizionale interesse per il nostro Paese. Penso in particolare alla Libia, dove l’Italia sostiene il processo di stabilizzazione politica anche attraverso un pieno appoggio al ruolo determinante delle Nazioni Unite, e alla Tunisia, Paese per noi strategico che sta attraversando una delicata fase politica resa ancora più complessa dalla gestione di una grave crisi economica.
Potremmo definire Roma e Madrid sulla stessa linea quando affrontano tali questioni?
Su questi dossier per noi prioritari, si registra una consonanza di vedute e obiettivi con Madrid. L’Italia infatti – anche insieme alla Spagna – è sempre stata in prima linea nel promuovere il rilancio delle relazioni dell’Unione europea con il Vicinato Sud. La nuova agenda Ue per il Mediterraneo è un fondamentale passo in questa direzione, e riprende molte delle proposte lanciate dal nostro Paese e riflesse anche in un non-paper di iniziativa italo-spagnola poi sottoscritto da tutti i Paesi mediterranei dell’Unione. L’impegno per la ripresa economica del Vicinato e per la tutela e la valorizzazione dei “beni comuni mediterranei” – concetti che abbiamo convintamente promosso a Bruxelles – rappresentano infatti elementi chiave per instaurare una dinamica virtuosa di creazione di posti di lavoro, sviluppo economico e sociale, prosperità e stabilità a beneficio stesso dell’Unione oltre che in primis del nostro Paese.
Quali i prossimi passi?
Occorre ora proseguire in questo impegno, per far evolvere la dimensione meridionale della politica europea di Vicinato in un vero e proprio “partenariato mediterraneo”, anche rafforzando la dimensione multilaterale e regionale della nostra cooperazione con la Sponda Sud e approfondendo i vari ambiti di collaborazione di mutuo interesse.