Gli americani scrivono a Bruxelles di rivedere i parametri, troppo a sfavore delle aziende a stelle e strisce. Le preoccupazioni riguardano anche la sicurezza e i tempi di approvazione. Il pacchetto rappresenta un bivio fondamentale per le relazioni transatlantiche in ambito tech. E la presidenza francese non sembra intenzionata a venire incontro alle richieste di Washington
Ormai è chiaro: molto del futuro delle relazioni tra Stati Uniti e Unione europea nel settore tecnologico passerà dal Digital Markets Act (Dma). Il conto alla rovescia per l’approvazione è partito lo scorso 16 dicembre, quando il Parlamento europeo ha dato il suo ok, e perciò il pressing degli Usa si fa più intenso. La richiesta è una e una soltanto: rivedere quei parametri che fanno pendere l’ago della bilancia a sfavore delle aziende statunitensi.
“Pensiamo sia importante che gli sforzi su entrambe le sponde dell’Atlantico non creino conseguenze negative non intenzionali, come rischi involontari per la sicurezza informatica o danni all’innovazione tecnologica”, scrivono i funzionari Usa ai loro colleghi europei in un documento letto da Politico. “Siamo anche stati chiari”, continuano in modo duro, “sul fatto che ci opponiamo agli sforzi specificamente progettati per prendere di mira solo le società statunitensi”, laddove non rientrerebbero quelle non americane.
Essere più espliciti di così era difficile. Le discussioni sono al momento in corso al Trade and Technology Council, uno dei massimi organi di coordinamento tra i due alleati in materia tech. Alla base delle incomprensioni ci sono i parametri voluti fortemente dall’eurodeputato tedesco del Ppe, Andreas Schwab, recepiti senza troppe obiezioni. Con questi, infatti, il numero delle Big tech verrebbe ampiamente ridotto e convoglierebbero sotto un’unica bandiera (quella a stelle e strisce). La nuova definizione di gatekeeper, dunque, è allo stesso ambigua e lampante.
Questo perché tra gli standard che dovranno soddisfare la nuova regolamentazione rientrano anche il fatturato e la capitalizzazione di mercato. Le soglie, come si legge nel documento, sarebbero di 8 miliardi di euro per il primo e di 80 miliardi di euro per il secondo: livelli a cui le società europee non si avvicinano. Oltreoceano, inoltre, non è piaciuta neanche l’intenzione del Parlamento europeo di aumentare le sanzioni in caso di violazione delle norme. Queste, infatti, non devono ammontare a meno del 4% e non devono superare il 20% del fatturato mondiale, sentenziano nel documento.
Washington, pertanto, chiede parità di trattamento. A niente sembrano esser valse le rassicurazioni europee. L’antiamericanismo che denunciano è stato respinto più volte da Bruxelles, prima dalla commissaria europea alla competizione Margrethe Vestager, e poi dal ministro francese per il Digitale, Cédric O. Le “serie preoccupazioni” della segretaria al Commercio degli Stati Uniti, Gina Raimondo, erano state liquidate dal commissario per il mercato interno dell’Ue Thierry Breton con l’invito a discuterne senza “bisogno di ulteriori pressioni”. La tensione però comincia a salire.
Anche perché a queste problematiche si devono aggiungere altri dubbi che Washington nutre nei confronti del pacchetto di regole. Un esempio viene dall’obbligo per le piattaforme di lasciare la possibilità di scaricare le app anche da enti terzi, meglio noto come “sideloading”. Se questo non dovrebbe rappresentare un problema per il sistema Android, il Ceo di Apple Tim Cook ha già dichiarato che “distruggerebbe la sicurezza di iPhone”, essendo il suo un circuito chiuso. La chiarezza dei ruoli è un alto punto fondamentale richiesto dagli Stati Uniti. L’unico organo esecutore dovrebbe essere pertanto la Commissione europea, che dovrebbe essere anche l’unica ad avanzare proposte per i servizi di piattaforma di base, mentre le leggi nazionali dovrebbero adeguarsi quanto più fedelmente possibile alla regolamentazione comunitaria.
Per di più, fare le cose di fretta non è il modus operandi preferito dagli americani, specie quando si tratta di operazioni così delicate che delineeranno il digitale per i prossimi anni. Quello che chiedono dalla Casa Bianca è un periodo ponte di un anno per l’attuazione e di tre mesi ulteriori per i requisiti di notifica, in modo tale da permettere alle aziende di adeguarsi ai nuovi requisiti.
Eppure l’Europa vuole accelerare, specialmente dopo che il timone è passato in mano francese. L’obiettivo del presidente Emmanuel Macron è quello di approvare non solo il Dma ma anche il fratello gemello, il Digital Services Act. Tutto, possibilmente, entro le elezioni presidenziali del prossimo aprile, così da rivendicare una ulteriore vittoria. Le visioni sono concettualmente diverse, ma i tentativi di dialogo non termineranno certo qui. Da qui alla fine del semestre francese, è lecito attendersi nuovi sviluppi. Per ora, un documento ha messo per iscritto le ansie statunitensi, dopo quelle manifestate la scorsa estate e rimaste perlopiù ignorate. All’Ue il compito di recepirlo o ignorarlo: qualunque sia la decisione le ripercussioni sull’alleanza transatlantica si faranno sentire, eccome.