Sulle “politiche discriminatorie” di Pechino si muove la Commissione. Non cita la causa (l’apertura a Vilnius di un ufficio commerciale di Taiwan) ma dimostra, una rara volta, compattezza nella sfida da Oriente
Falliti i tentativi bilaterali di ricucire lo strappo, l’Unione europea ha deciso di ricorrere contro la Cina all’Organizzazione mondiale del commercio per le “politiche commerciali discriminatorie” contro la Lituania, “che stanno colpendo anche altre esportazioni dal mercato unico”. Si tratta di azioni che “appaiono essere discriminatorie e illegali alla luce delle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio”, si legge nella nota della Commissione europea.
LE PAROLE DI DOMBROVSKIS
“Non è un passo che prendiamo alla leggera”, ha dichiarato Valdis Dombrovskis, vicepresidente esecutivo della Commissione europea con delega al commercio. “Tuttavia, dopo ripetuti tentativi falliti di risolvere la questione a livello bilaterale, non vediamo altra strada da percorrere”.
Le parole di Dombrovskis sembrano voler dimostrare un’unità d’intenti che gli Stati Uniti chiedono da tempo all’Unione europea quando si tratta di Cina, in particolare della difesa della Lituania dalla “crescente pressione politica e coercizione economica” di Pechino. “L’Unione europea è determinata ad agire come un unico soggetto e ad agire rapidamente contro le misure che violano le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio, che minacciano l’integrità del nostro mercato unico”, ha detto il vicepresidente della Commissione. “Stiamo in parallelo portando avanti i nostri sforzi diplomatici per una de-escalation della situazione”, ha aggiunto ricordando la recente proposta dell’esecutivo comunitario per uno strumento anti-coercizione.
LA RAGIONE DELLE TENSIONI
Tuttavia, nella nota diffusa dalla Commissione europea non è chiara la ragione delle tensioni tra Cina e Lituania. Si legge soltanto quanto segue nelle informazioni di contesto: “Da dicembre 2021, e senza informare l’Unione europea o le autorità lituane, la Cina ha iniziato a limitare pesantemente o a bloccare de facto le importazioni e le esportazioni dalla Lituania, o collegate alla Lituania. La Commissione ha ripetutamente sollevato la questione con le autorità cinesi”.
Ma perché Pechino ha deciso questo? La risposta nella nota non si trova, forse per il timore dell’Unione europea di pronunciare quel nome: Taiwan. Infatti, a scatenare quella “politiche commerciali discriminatorie” è stato il via libera della Lituania all’apertura di un ufficio di rappresentanza di Taiwan nella capitale Vilnius. La Cina vede l’isola come parte del suo territorio e il Partito comunista cinese appare deciso a cambiare politica nel congresso del prossimo autunno spingendosi a voler “risolvere il problema Taiwan nella nuova era” – in linea con l’impostazione secondo cui il tempo è dalla parte di Pechino per la riunificazione. E così, per ritorsione, Pechino ha richiamato il suo ambasciatore in Lituania e declassato le relazioni diplomatiche, oltre ad aver attivato una forte pressione commerciale per spingere la Lituania a un ripensamento.
LE MOSSE DI VILNIUS
Dopo i dubbi espressi dal presidente Gitanas Nausėda (“Penso che non sia stato un errore l’apertura dell’ufficio di Taiwan, ma il nome, che non è stato concordato con me”, ha detto recentemente all’emittente Žinių radijas), il ministro degli Esteri lituano Gabrielius Landsbergis ha spiegato in un’intervista rilasciata in esclusiva a Formiche.net che “il governo lituano rimane convinto della sua decisione di accogliere l’apertura dell’ufficio di rappresentanza taiwanese”.
“Molti Paesi in Europa”, continuava, “hanno investito a lungo in queste relazioni. Vogliamo soltanto fare quello che gli altri hanno fatto, ognuno all’interno della politica Una Cina, alla quale continuiamo ad aderire. E la domanda è: perché la Cina ha permesso agli altri di farlo ma vuole limitare il nostro diritto su questo? Questo significa che la Cina è cambiata? Che le linee rosse della Cina si sono spostate in avanti? Ma non possiamo accettare che la Cina violi la nostra sovranità”.
CAMBIARE NOME?
Secondo quanto ricostruito da Reuters sarebbe stato lo stesso ministro a proporre una modifica del nome per riferirsi al “popolo taiwanese” piuttosto che a Taiwan. “Il governo probabilmente vuole sottolineare che l’ufficio rappresenta non Taiwan come entità politica, ma il popolo taiwanese con cui la Lituania vuole stabilire relazioni culturali, economiche e di altro tipo”, ha dichiarato Linas Kojala, direttore del Centro di studi dell’Europa orientale di Vilnius, all’agenzia di stampa.
Il Global Times, megafono in lingua inglese della propaganda cinese (quella più da “falchi”), ha pubblicato un articolo nei giorni scorsi in cui si dice che “ci vorrà molto di più che rinominare l’ufficio” per ricucire lo strappo. Sembra che Pechino pretenda da Vilnius, oltre all’adesione alla politica Una Cina già più volte ribadita, una resa che possa convincere altri Paesi a non seguire quella strada. Come la Slovenia, che nei giorni scorsi aveva annunciando di essere in trattative con Taiwan per l’apertura degli uffici commerciali.
FORSE È TROPPO TARDI PER PECHINO…
Ma la compattezza europea e transatlantica a cui hanno fatto appello Lituania e Stati Uniti – e a cui l’Italia non si è sottratta, come dichiarato da Benedetto Della Vedova, sottosegretario agli Esteri, in un’intervista a Formiche.net – sembra ritrovata. Sembrano dimostrarlo, oltre alla mossa della Commissione europea, i numeri diffusi nei giorni scorsi dalla Camera di commercio europea di Taiwan, che ha evidenziato che le aziende europee hanno investito 53 miliardi di euro a Taiwan durante la pandemia, a testimonianza della resistenza del Paese. E pure l’entusiasmo con cui Vilnius ha accolto la decisione della Nato di rafforzare la sua presenza militare in Europa Orientale (con F-16 danesi in Lituania, truppe francesi in Romania, F-35 olandesi in Bulgaria e una fregata spagnola nel Mar Nero).
… CHE REAGISCE NERVOSAMENTE
“Invitiamo la Lituania a ravvedersi immediatamente e a tornare sulla strada giusta per aderire al principio Una Cina”, ha dichiarato il ministero degli Esteri cinese attraverso un portavoce dopo la decisione della Commissione europea. “Ricordiamo anche all’Unione europea di distinguere il bene e il male, e di diffidare del tentativo della Lituania di prendere in ostaggio le relazioni Cina-Unione europea”, ha aggiunto suggerendo cioè al blocco di guardarsi da uno dei suoi 27 Stati membri. Una dichiarazione netta e dura, che potrebbe rivelare i timori di Pechino che ancora aspetta, ormai da più di un anno, la ratifica dall’accordo sugli investimenti congelato dopo le proteste del Parlamento europeo.