Sulla banca più antica del mondo è calata una fitta nebbia, dopo l’addio ai negoziati di Unicredit. Se Draghi resta a Palazzo Chigi potrebbe esserci una nuova spinta all’operazione che porta alle nozze e al disimpegno dello Stato. Se invece dovesse andare al Quirinale…
Sprint decisivo o una scena al rallentatore, è solo questione di palazzi. Sul dossier Mps, dopo la rottura dei negoziati tra il Tesoro azionista (64%) e Unicredit è improvvisamente calata la nebbia e il silenzio. Da quel momento, era l’autunno dello scorso anno, come raccontato a più riprese da questa testata ha preso corpo un altro piano, sempre messo in piedi da Via XX Settembre e sempre con Unicredit playmaker.
E cioè quell’operazione di sistema tra le principali banche italiane – oltre a Piazza Gae Aulenti, anche Bper e Banco Bpm – per rilevare ognuna un pezzo di Siena, sull’onda di non meno di 2,2 miliardi di incentivi fiscali, prorogati per le delibere dei board entro il prossimo giugno. Anche se il boccone più grande, la parte sana sgravata dei costi legali e delle sofferenze, sarebbe riservato a Unicredit.
Adesso però c’è la partita per il Quirinale, con la ancora ragionevole prospettiva di vedere Mario Draghi al Colle. E proprio da questo dipende il futuro della banca più antica del mondo. Come confidano infatti ambienti vicino al dossier senese, qualora Draghi rimanesse a Palazzo Chigi l’operazione per dare in sposa Mps (il governo italiano sta negoziando con l’Ue una proroga di 18-24 mesi) andrebbe incontro a una improvvisa accelerazione. Questo per la volontà non dichiarata, ma ben evidente a chi osserva da vicino la partita, dell’ex presidente della Bce di chiudere i giochi il prima possibile.
Qualora invece Draghi si trasferisse al Colle, ecco che la partita per il Monte dei Paschi passerebbe in modalità slow motion, ovvero priva della sua spinta fondamentale, quella dell’ex governatore di Bankitalia, per l’appunto. Sì, ci sarebbe l’uomo forte di Draghi, il ministro dell’Economia Daniele Franco a tentare di imprimere una svolta, ma forse non basterebbe. E resterebbe sempre possibile una mossa dall’estero. A cominciare dal Crédit Agricole, che resta interessato al dossier.
La banca francese, che nei mesi scorsi ha acquisito il Credito Valtellinese, era pronta a mettere le mani su Carige, salvo essere battuta in volata da Bper, per decisione del Fondo interbancario, azionista all’80% della banca della Lanterna. Una permanenza di Draghi, viene sussurrato in ambienti Mps, fungerebbe da ulteriore barriera contro eventuali blitz transalpini. Il prossimo appuntamento a stretto giro nel credito è comunque la presentazione del piano industriale di Intesa San Paolo. Il 4 febbraio il gruppo guidato dal ceo, Carlo Messina, pubblicherà i conti del 2021 e la nuova strategia. Che, secondo gli analisti di Equita Sim, avrà tra i vari baricentri la remunerazione degli azionisti.