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Cosa c’è dietro il gennaio nero delle crypto

Il gennaio nero delle crypto (e un futuro più “istituzionale”)

Il mercato delle criptovalute è crollato assieme agli indici tech americani. La correlazione si rafforza man mano che le aziende tech si portano avanti nella costruzione del web3 ed esplorano la finanza decentralizzata (DeFi). Questo, e l’attenzione regolatoria, preannunciano un anno movimentato per il criptoverso

Il nuovo anno ha portato al mercato azionario americano la peggior performance iniziale dai tempi della crisi finanziaria, scrive il Financial Times: a gennaio l’indice S&P 500 è calato del 5,3%. Avrebbe raggiunto il nadir storico, non fosse stato per una ripresa del 4% all’ultimo secondo. Per gli analisti è colpa del rialzo dei tassi d’interesse all’orizzonte, dei guadagni in calo delle grandi corporazioni, di Omicron e della crisi geopolitica in Ucraina.

Il triplice schiaffo ha fatto particolarmente male al settore tecnologico, il fiore all’occhiello dell’industria americana: l’indice Nasdaq Composite, che raccoglie le aziende tech più importanti, è sceso del 9%, un dato che non si vedeva dal novembre di crisi del 2008. L’impatto ha riverberato pesantemente sul mercato delle criptovalute, dimagrito di 500 miliardi di dollari nel giro di pochi giorni (da un picco di oltre 2,3 mila miliardi a dicembre, quasi 3 a novembre).

L’andamento delle crypto riflette sempre più gli indici tech, una correlazione che va rafforzandosi da mesi. In teoria le valute digitali sono decentralizzate e globali, dunque scorrelate da altri asset. Così non è stato per via dell’adozione mainstream – aumentata in pandemia, specie negli Usa – e la convergenza sempre più grande tra Big Tech americane e le tecnologie blockchain, a loro volta alla base del web3, forse del metaverso, certamente della finanza decentralizzata (DeFi).

A fine dicembre il fondatore di Twitter Jack Dorsey ha lasciato la direzione dell’azienda per dedicarsi a progetti blockchain. Google ha appena creato una divisione blockchain e mira a diventare il portale DeFi per i più. Come? Integrando le crypto nel suo sistema di pagamento (che negli ultimi anni sta rimuovendo le tariffe per i venditori) e mirando a diventare il tessuto connettivo dell’industria finanziaria consumer-level, che poi sarebbe anche uno degli obiettivi delle blockchain più “spontanee” come quella di Ethereum.

Anche Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, ci ha provato. Nel 2019 ha dato il via libera al progetto Libra, poi ribattezzato in Diem, che dopo le critiche dei regolatori si è ufficialmente spento a gennaio 2022. Poco male: gli asset e molti degli ingegneri dietro a Diem finiranno a Silvergate Capital, una banca californiana che fornisce servizi ad aziende dedicate a progetti blockchain e DeFi. Molti dei quali vanno avanti sotto il radar dei regolatori, essendo meno “ingombranti” di Facebook/Meta.

Se l’industria sembra aver scelto quella direzione, lo stesso vale per i regolatori. Sempre a gennaio la Banca centrale russa ha proposto un divieto di mining e trading delle criptovalute, sulla falsariga di quello cinese; pochi giorni dopo il presidente Vladimir Putin ha fatto marcia indietro, pur dichiarandosi d’accordo sulla necessità di regolamentare. Tra una settimana saranno le autorità americane a discutere della materia. Quelle europee già lo fanno, assieme a quelle coreane e giapponesi. L’India vuole tassare criptovalute e Nft (non sono illegali, ha detto il governo, perché pur essendo in un’area grigia li tasseremo come i proventi del gioco d’azzardo). E il Fondo monetario internazionale rumoreggia.

Tutta questa attenzione regolatoria non è necessariamente un male per il criptoverso, anzi: il 2022 può essere l’anno in cui questi asset potrebbero normalizzarsi un po’, come indica la correlazione con gli indici americani. Forse diventare più “istituzionalizzati”, nella misura in cui gli sarà consentito dalla loro stessa natura – che talvolta può assomigliare all’anarchia finanziaria – e dagli Stati.

La Cina, per esempio, sta già costruendo un “web3” con caratteristiche cinesi (anche se naturalmente non insegue l’idea di democrazia digitale del web3 all’occidentale). Ma i progressi di altri Paesi, specie quelli americani e occidentali, potrebbero tracciare la strada di queste tecnologie emergenti. Anche e soprattutto perché tutte le più grandi economie del mondo stanno progettando o sviluppando le loro valute digitali. A ogni modo, l’ultimo periodo non pare il canto del cigno delle crypto.


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