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Mps, Banco, Unicredit e quel Crédit Agricole in agguato

Al Tesoro continuano ad essere convinti che sia Unicredit a dover prendere in sposa Rocca Salimbeni. Ma Andrea Orcel non ne vuol sapere, mentre a Palazzo Chigi il premier Draghi crede che l’unica strada sia l’operazione di sistema con più banche ma con annesso spezzatino. Prospettiva che partiti e sindacati respingono. Ma chi può approfittare di tutto questo è il predone francese Agricole. E su Banco…

È la banca più antica del mondo ma anche quella più discussa e travagliata. Il Monte dei Paschi di Siena potrebbe rischiare di finire in una sorta di limbo, prigioniera di un puzzle dalla difficile composizione. Dopo l’addio al veleno dell’ex ceo Guido Bastianini, cui va dato atto di aver riportato la banca in utile (310 milioni nel 2021) al quale è succeduto l’ex numero uno del Creval, Luigi Lovaglio, la strada verso il disimpegno dello Stato oggi azionista al 64% sembrava un po’ più agevole.

Un nuovo piano industriale, da tarare su una ricapitalizzazione da non meno di 2,5 miliardi, nonostante nei giorni scorsi siano emerse indiscrezioni circa un importo decisamente più elevato (3,5 miliardi) e poi via con l’operazione di sistema per restituire Mps ai privati e con lo Stato, almeno in un primo momento, ridotto a ruolo di azionista di minoranza: o un cavaliere bianco ma solitario, magari quella Unicredit fuggita a gambe levate dalle trattative con il Tesoro lo scorso novembre. Oppure più soggetti bancari, anche se in quel caso la prospettiva sarebbe quella di dividere Mps in più parti.

Fin qui tutto bene, se non fosse che, come raccontano a Formiche.net ambienti vicini al dossier, nelle ultime settimane sarebbero sorte delle complicazioni che rischiano di portare a uno stallo quanto meno pericoloso, anche per l’intero sistema bancario nazionale. Tanto per cominciare, sembra proprio che Andrea Orcel, amministratore delegato di Unicredit, non ne voglia sapere di accollarsi sulle spalle Mps. Troppo pesante, troppo problematica come banca e forse anche troppo intrisa di politica. Peccato che a Via XX Settembre, in particolare il direttore generale, Alessandro Rivera, con cui pare che Orcel non abbia un ottimo rapporto, sia convinto dell’esatto contrario e cioè che lo sposo giusto per Siena sia e rimanga Unicredit. Già questo basterebbe per escludere un futuro matrimonio, visto che le due lunghezze d’onda sono decisamente poco allineate.

Ma c’è di più. A Palazzo Chigi avrebbero addirittura un’idea diversa da quella dell’azionista Mef, sul futuro di Mps. E cioè che per salvare Mps servirebbero più cavalieri. La famosa operazione di sistema con più banche coinvolte (qui l’intervista di qualche tempo fa all’economista ed ex Bce, Ignazio Angeloni). Il problema è che un simile intervento, viene fatto notare, non potrebbe prescindere da una sorta di spezzatino che sindacati e partiti mal digerirebbero quasi certamente.

La parte sana di Rocca Salimbeni in pasto alle banche pronte a subentrare al Tesoro, quella meno sana e gonfia di costi legali e sofferenze messa in pancia alla spa del Mef, Amco e le filiali del Meridione girate al Mediocredito. Un canovaccio che comporterebbe esuberi (il nuovo piano al 2026 targato Lovaglio potrebbe prevedere esuberi superiori ai 2.500 contemplati inizialmente, fino a 4.000 unità, una cifra che costerebbe a Mps circa 950 milioni da spesare sul bilancio 2022). Riassumendo, il Mef vorrebbe dare in sposa Siena a Unicredit, ma Orcel non ne vuol sapere. Mentre per Palazzo Chigi occorre un’operazione più ampia, strutturata e con più soggetti.

Attenzione, non è finita. In questo scacchiere si inserisce la vicenda dell’Opa, solo ventilata, di Unicredit su Banco Bpm. Ora, viene sussurato, Orcel era davvero intenzionato a lanciare l’assalto a Banco e con ogni probabilità lo è ancora. Tuttavia, il piano di Unicredit era quello di lanciare l’Opa a fine febbraio se non fosse che il Messaggero ha tirato fuori la notizia qualche giorno prima, bruciando di fatto la mossa di Orcel. Che avrebbe deciso di desistere, almeno per il momento.

Ora, non è chiaro come e perché i piani di Unicredit su Banco siano stati messi temporaneamente in stand by, sta di fatto che nei giorni in cui Bper salverà Carige per oltre 500 milioni, il risiko bancario si ritrova nuovamente in stato di fermo, un po’ per veti incrociati, un po’ per delle coincidenze avverse.  Il che, va detto, permette alle grandi banche straniere, di aprire dei varchi. A cominciare da quel Crédit Agricole mai così battagliero e desideroso da sempre di piantare (dopo il Creval), altre bandierine in Italia. Occhio.



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