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Mps, Unicredit tornerà? Intanto i tempi per l’addio dello Stato si allungano

A pochi giorni dall’addio al veleno di Bastianini, il nuovo ceo Lovaglio è pronto a rimettere mano al piano industriale che guarda alla ricapitalizzazione. Che però non arriverà prima dell’estate. E comunque Unicredit tornerà a bussare, forse non da sola. Intanto i sindacati…

Avanti, adagio. Luigi Lovaglio, nuovo amministratore del Monte dei Paschi dopo il passo indietro, non senza strascichi, forse anche legali, di Guido Bastianini, ha messo le mani sulla cloche della banca più antica del mondo solo da pochi giorni, ma già è possibile provare a tracciare una rotta sul futuro dell’istituto toscano.

Nei giorni in cui tra il Tesoro azionista al 64% e il manager che ha riportato in utile Mps (310 milioni nel 2021, dopo la maxi-perdita da 1,6 miliardi del 2020) si consumava lo strappo, frutto di una tempistica per il disimpegno dello Stato e di un piano industriale non sempre condiviso, ma anche di frizioni sulla gestione dei costi, la Borsa già festeggiava la staffetta al vertice di Rocca Salimbeni, con il titolo mantenutosi anche oggi (+1,2%) in territorio positivo. Segno che forse una discontinuità non solo era attesa dai mercati, ma forse anche invocata (qui l’intervista al presidente della commissione parlamentare sulle banche, Carla Ruocco).

Ora però la domanda è: ci sarà un’accelerazione o una decelerazione nel percorso che porta al disimpegno dello Stato dal Monte dei Paschi, così come chiesto espressamente dall’Europa? Ambienti qualificati vicini alla banca toscana non hanno dubbi, occorrerà rimettere mano al piano industriale approvato a fine 2021, l’ultimo con la firma di Bastianini, per ricalibrare la strategia del Monte su un allungamento dei tempi. La pietra angolare della privatizzazione di Mps e del collaterale disimpegno del Tesoro è infatti l’aumento di capitale da 2,5 miliardi, senza il quale la banca non può stare sulle sue gambe.

Una ricapitalizzazione che potrebbe arrivare solo dopo l’estate, dunque ben più tardi di giugno, mese in cui peraltro scadranno gli incentivi fiscali (Dta) per quei board che deliberano fusioni bancarie. Solo una volta ricapitalizzata Mps, anche con il ricorso al mercato, potrà entrare in gioco il cavaliere bianco tanto atteso. Che potrebbe essere benissimo, ancora una volta, Unicredit. L’istituto guidato da Andrea Orcel, che lo scorso novembre abbandonò, corrisposto, il tavolo delle trattative per rilevare Siena, si farà quasi certamente di nuovo avanti, si racconta dalle parti di Siena.

Se da solo o in compagnia di altri soggetti bancari, è da vedere. Quello che è certo è che la parte in vendita di Mps sarà quella sgravata dai costi legali (circa 6 miliardi) e dalla sofferenze, da scaricare sulla società del Tesoro, Amco. In tutto questo, cresce un certo nervosismo presso i lavoratori di Mps, riuniti nella Fabi, il sindacato dei bancari. Indiscrezioni raccolte da questa testata parlano di una forte preoccupazione verso una tagliola che prima o poi potrebbe chiudersi, con tutte le conseguenze del caso.

D’altronde, lo stesso Bastianini aveva ammesso come a fine 2021 la banca contasse su una forza lavoro di 21.300 dipendenti, 1.200 in più circa rispetto alle promesse fatte all’Ue a fronte dell’ok alla ricapitalizzazione precauzionale di quattro anni fa. Mps aveva centrato invece il target sul taglio degli sportelli, scesi da oltre 2.000 all’inizio del piano di ristrutturazione a poco più di 1.400, con una flessione superiore al 30%. Il nuovo piano al 2026 dovrebbe quindi usare le forbici, con l’ipotesi che gli esuberi siano superiori ai 2.500 contemplati inizialmente, fino a 4.000 unità, una cifra che costerebbe a Mps circa 950 milioni da spesare sul bilancio 2022.



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