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Produzione o innovazione? L’Ue alla prova della legge sui chip

La prossima settimana la Commissione presenterà la normativa sugli aiuti di Stato. Breton spinge verso l’autonomia ma cinque Paesi (tra cui l’Italia) avvertono: no al reshoring, meglio lavorare con America e Asia (Giappone e Taiwan)

L’Unione europea vuole diventare leader nella produzione delle prossime generazioni di semiconduttori. L’ha ribadito Thierry Breton, commissario europeo al Mercato interno, in una recente intervista rilasciata al quotidiano francese Les Echos. “È cruciale vincere la battaglia dell’innovazione” e diventare “imprescindibili”, ha spiegato. Ecco perché, al di là della ricerca, “investiremo in piattaforme di concezione e di linee di produzioni pilota”: “tutte le generazioni dei prodotti del domani dipenderanno da questa tecnologia”, ha aggiunto. Sul piatto la Commissione europea metterà investimenti pari a 30 miliardi di euro.

Al centro della discussione tra gli Stati membri ci sono i sussidi, ritenuti da molti fondamentali per rilanciare il settore. L’Unione europea, che è passata dal 25% all’8% di quota del mercato globale, si è data l’obiettivo di produrre entro il 2030 un quinto dei chip nel mercato globale attraverso il Chips Act di prossima pubblicazione. Una mossa, come osservavamo su Formiche.net nei mesi scorsi, coerente con gli sforzi per rafforzare la propria autonomia strategica sulla scia degli effetti della pandemia Covid-19 che ha rafforzato la domanda di semiconduttori, cresciuta dal 5-6% al 20%, fino a una carenza globale che ha creato difficoltà a molti settori, tra cui quello dell’automobile.

Basti pensare che le vendite di nuove vetture in Europa hanno segnato un nuovo record al ribasso nel 2021, frenate dalla crisi pandemica e proprio dalla carenza di semiconduttori. Secondo gli ultimi dati dell’Associazione europea dei costruttori di automobili, lo scorso anno nell’Unione europea sono stati venduti 9,7 milioni di veicoli: si tratta del dato più basso registrato dall’inizio delle serie statistiche nel 1990, inferiore al 2013 e al 1993, già anni bui per l’industria automobilistica.

“Non siamo protezionisti”, il Chips Act aiuterà a “compensare” la” dipendenza dell’Europa dall’Asia, soprattutto dalla zona da Taiwan, con “molti investimenti per rafforzare la ricerca, accogliere mega-fabbriche e avere gli strumenti che garantiscano la sicurezza degli approvvigionamenti”, ha spiegato Breton al termine del Consiglio Competitività a Lens.

Su questa faccenda, l’Italia, dove il dossier è nelle mani del ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, è saldamente con Francia e Germania.

Ma questi tre Paesi, assieme a Belgio e Paesi Bassi, temono che un eccesso di investimenti pubblici nella produzione possa portare a una corsa ai sussidi o addirittura a una sovrapproduzione. Lo ha rivelato Bloomberg, che scrive: questi Stati membri dell’Unione europea sostengono, alla vigilia della pubblicazione del Chips Act, la necessità di “creare chip all’avanguardia” ma “hanno sottolineato che gli aiuti di Stato dovrebbero andare verso l’innovazione più che verso la produzione”. Non vogliono porre il veto al loro ricorso, ma piuttosto assicurarsi che il denaro sia speso saggiamente, riporta l’agenzia. Inoltre, alcuni di questi Paesi hanno anche sottolineato che gli aiuti di Stato dovrebbero andare a sostenere aziende europee. Ma occhio, perché in ballo ci sono anche gli investimenti in Europa annunciati dall’americana Intel e dalla taiwanese Tsmc.

I cinque Paesi, continua Bloomberg, sono convinti che l’Unione europea “dovrebbe diventare più competitiva e autonoma, ma hanno messo in guardia contro il cosiddetto reshoring”, cioè il rientro delle produzione che negli anni passati sono state delocalizzate. Meglio, sostengono, che l’Unione europea lavori con altri continenti – a partire dagli Stati Uniti e dall’Asia, con Giappone e Taiwan – per mantenere i loro mercati aperti e garantire l’accesso ai componenti dei semiconduttori.

In un rapporto dello scorso aprile, gli esperti del German Council on Foreign Relations raccomandavano all’Europa tre azioni nel mercato dei semiconduttori, partendo dal presupposto che nel Vecchio continente il know how non manca (a differenza della produzione): difendere i suoi “campioni”; sostenere la crescita della produzione locale anche grazie ad aziende extra Ue e scommettendo su “usi specifici”; promuovere standard aperti.

Soltanto il Chips Act, che verrà pubblicato il prossimo 8 febbraio, aiuterà a chiarire gli orizzonti della strategia dell’Unione europea e il bilanciamento tra produzione e innovazione. Perché niente è veloce a diventare obsoleto quanto i componenti tecnologici. Il rischio è di ritrovarsi a rincorrere anche in futuro per aver deciso di correre dietro alla crisi di oggi.


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