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Il razzo che colpirà la Luna non è di Musk. Ma i suoi satelliti…

Si tratta di un Lunga Marcia 3C, lanciato dall’Agenzia spaziale cinese nel suo programma di esplorazione lunare, Chang’e 5-T1. La vicenda tuttavia mette in mostra i limiti della scienza nell’individuare gli oggetti nello spazio: un problema dato che aziende come SpaceX contano di mandare in orbita decine migliaia di satelliti, alzando il rischio di collisioni

Rettifica: il razzo che si schianterà contro il suolo lunare il 4 marzo non è di SpaceX, ma cinese. Inizialmente la segnalazione della Catalina Sky Survey, il progetto finanziato dalla NASA con sede in Texas che si occupa di individuare e tracciare oggetti vicino al nostro pianeta, non sembrava lasciar dubbi: si trattava di una parte del razzo costruito dall’azienda di Elon Musk e lanciato nel 2015 per trasportare a milioni di chilometri dalla terra il satellite Deep Space Climate Observatory. Insomma, tutti erano d’accordo con l’osservazione dell’astronomo Bill Gray. Lui stesso, tuttavia, ha dovuto fare marcia indietro.

Dalle successive analisi è arrivata infatti la precisazione: ad impattare contro la luna sarà il booster di un Lunga Marcia 3C, lanciato dall’Agenzia spaziale cinese (CNSA) nel suo programma di esplorazione lunare, Chang’e 5-T1. Per booster si intende la parte ausiliaria di un razzo. Questo è infatti composto da due stadi, di cui uno ha il compito di portare l’altro al di là dell’atmosfera. Una volta terminata la sua funzione, si stacca e si disperde nell’universo. Oppure, può capitare che rientri nell’orbita terrestre e si distrugga non appena impatta con l’atmosfera. Episodi di questo genere, dunque, possono accadere soprattutto su tragitti lunghi.

La smentita, tuttavia, fa riflettere non tanto sull’errore quanto piuttosto sull’incapacità da parte degli osservatori di tracciare in modo preciso gli oggetti che volano sopra la nostra testa. Commentando l’episodio, l’astronomo Bill Gray ha parlato di un errore non intenzionale che però mette in luce le tante difficoltà per capire di che oggetto si tratti. “Aveva più o meno la luminosità che ci aspettiamo, si è presentato all’ora prevista e si è mosso su un’orbita ragionevole”, ha dichiarato. “Con il senno di poi”, ha continuato, “avrei dovuto notare alcune cose strane”.

A sua discolpa, c’è da dire che la Cina non rende pubbliche tutte le informazioni sul suo piano spaziale e, spesso e volentieri, viene accusata di noncuranza nei propri lanci, con i detriti che si spargono nell’universo. Questo è un problema che non interessa solo Pechino ma anche le altre nazioni che partecipano alla corsa spaziale. L’astrofisico dell’Harvard-Smithsonian Center, Jonhatan McDowell, ha parlato di circa 19.000 detriti che attualmente navigano nell’orbita terrestre bassa e che sfrecciano a una velocità di 17.000 km/h. A questo numero andrebbe aggiunto una percentuale intorno al 10% di quelli provocati dall’esplosione di un satellite russo, distrutto a novembre da un razzo lanciato da Mosca, il cui comportamento irresponsabile aveva fatto discutere.

Insomma, urge una regolamentazione per operare in modo comune e ordinato. La tecnologia sembrerebbe andare in questo senso, con degli strumenti che dovrebbero un giorno ripulire lo spazio dai suoi rifiuti come camionette della spazzatura. Tuttavia, esplosioni come quella russa non aiutano ma peggiorano pesantemente la situazione, facendo compiere balzi indietro all’intera comunità.

Al problema collettivo, poi, si deve aggiungere quello singolo. Elon Musk, che da questa vicenda esce come innocente (peccato, avrà pensato, dato che gli astronauti vedono nell’impatto lunare “un’entusiasmante opportunità di ricerca”), potrebbe essere più libero di concentrarsi sul proprio piano Starlink, il servizio Internet ad alta velocità.

Il mese scorso, il proprietario di Tesla aveva chiesto alla Nasa di autorizzare SpaceX a una particolare configurazione di ulteriori 30.000 satelliti da inviare nello spazio per la realizzazione del suo progetto – quelli attivi o in fase di avvio sono 1.741. In tutto, i satelliti dovrebbero ammontare a 42.000. La risposta dell’Agenzia spaziale americana era arrivata tramite una lettera, in cui metteva in risalto la pericolosità di una mossa del genere. “Un aumento di questa entità in queste bande di altitudine comporta implicitamente un rischio aggiuntivo di detriti che generano eventi di collisione”.

Inoltre, a questa preoccupazione della NASA se ne deve aggiungere un’altra: come interagiranno i sistemi a manovra automatizzata dei satelliti Starlink con satelliti simili, dato che manca una regolamentazione in questo senso? Ansie che Musk, al momento, non ha affatto placato. Tutt’al più ha aumentato i timori dell’Agenzia sul problema dei detriti spaziali, che possono provocare incidenti durante le operazioni.

Per Musk la questione si risolverebbe posizionando i satelliti in altitudini relativamente basse, così da poter rientrare nell’atmosfera e bruciare. “I satelliti in deorbitazione non comportano alcun rischio di collisione con altri satelliti e, in base alla progettazione, svaniscono al rientro nell’atmosfera, il che significa che non vengono creati detriti orbitali e nessuna parte del satellite colpisce il suolo”, aveva comunicato SpaceX dopo un’analisi preliminare. Secondo gli studi redatti dalla Comspoc Corp. in base ai movimenti previsti, sui 42.000 satelliti di Musk 52 dovrebbero essere coinvolti in collisioni. Le preoccupazioni, pertanto, sono legittime fino a quando non si arriverà a una legislazione comune che permetta a Musk – o chi per lui, come Boeing, Amazon e altre società – di lanciare quantità simili di satelliti in totale sicurezza.

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