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Ucraina, la sveglia Harris per Palazzo Chigi. Scrive Harth

Appello a Mario Draghi: i diritti umani e il diritto internazionale sono parte del nostro interesse nazionale, difendiamoli. Comprensibili le premure sul gas, ma con Putin patti (più) chiari. Il commento di Laura Harth

“Prendete un momento per rifletterci sopra davvero. Let it really sink in. Stiamo parlando dell’inizio di una nuova guerra in Europa.” Sono le parole della vice-presidente americana Kamala Harris nella conferenza stampa a conclusione della sua partecipazione alla Munich Security Conference. Parole solenni che fanno e devono fare colpo su tutti noi.

Parole su una guerra che sembra ormai inevitabile e che richiama in causa la capacità occidentale di far fronte alla crescente minaccia autoritaria posta alla sicurezza e stabilità mondiale. Una minaccia che in tempi di pace relativa viene sottovalutata di continuo in tanti paesi dell’alleanza che oggi cerca di riaffermarsi. Too little too late scrivevo quasi un anno fa su queste pagine circa le sanzioni imposte su Minsk a seguito del dirottamento illegale di un aereo per catturare il dissidente Roman Protasevich.

Probabilmente troppo poco, troppo tardi anche l’annuncio della “madre di tutte le sanzioni” che verranno imposte su Mosca non se ma quando invaderà di nuovo l’Ucraina. Sebbene non condivido l’invito del Primo Ministro ucraino Volodymyr Zelensky di imporre tali sanzioni prima dell’invasione in quanto sono l’unica arma di deterrenza rimasta allo stato attuale, impossibile non notare come il non aver colto gli appelli reiterati dagli oppositori di Putin a seguito degli eventi di Minsk dell’anno scorso e l’avvelenamento di Alexei Navalny di imporre delle sanzioni individuali Magnitsky sulla cerchia degli oligarchi intorno a Putin ci fa giocare questa partita in impossibile difesa.

Decisione e tempestività devono diventare le parole d’ordine per l’immediato futuro se vogliamo prevenire l’espandersi dello scenario che affrontiamo collettivamente oggi. Mentre l’orizzonte immediato ci riserva nuovi orrori in Ucraina, arrivano rapporti continui sull’aumento delle attività grey-zone cinesi nel Pacifico. Un’altra area di alta e crescente tensioni dove non possiamo permetterci di giocare solo in difesa quando ormai sarà troppo tardi. Se possiamo imparare una cosa della crisi odierna è che occorre prendere il toro per le corna piuttosto che cercare di acchiapparlo per la coda quando ormai ci è passato davanti.

A tal fine urge anche una maggiore e continua unità di intenti nell’Alleanza democratica. Dispiace notare che nell’attuale crisi ucraina l’Italia sembra ancora una volta porre freno a tale unità decisiva. A differenza di quanto affermato maggiormente nella stampa nostrana circa un ottimo possibile ruolo di intermediario, le uniche menzioni dell’Italia e il Presidente del Consiglio Mario Draghi nella stampa estera – come la sopramenzionata conferenza stampa – sono gli interrogativi sull’accordo sugli approvvigionamenti di gas con Putin.

Sebbene sia comprensibile che la già presente crisi energetica spinge l’Italia ad agire con cautela, è altrettanto evidente che perdura una situazione in cui il Belpaese cerchi di giocarsela un po’ da tutte i due le parti. Una situazione che continuiamo a vedere anche nell’approccio alla Cina e che certamente – come dimostrano gli interrogativi odierni della stampa internazionale – non fa bene all’immagine dell’Italia.

Ma più preoccupante ancora dell’immagine è l’impressione perdurante che Roma non si renda conto di come la sua posizione accomodante verso i vari regimi del mondo ponga un rischio continuo sul lungo termine. Occorre far fronte urgente alle dipendenze strategiche ed ambiguità continue per riprenderci pienamente autonomia in politica estera e riguadagnare lo standing internazionale che il Paese si merita. Non perché ce lo dice la Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen. Non perché ce lo chiedono gli alleati. Ma perché è innanzitutto di nostro interesse nazionale.

Piuttosto che adeguarci in uno stato politico-mentale vicino a quello degli anni ’30, impariamo del passato e torniamo a rivendicare la consapevolezza del’48, quando si affermava con fermezza che la promozione e la difesa dei diritti umani universali sono strumento principale per assicurare la pace e prosperità durevole tra popoli e nazioni.

Gli ultimi anni ci dimostrano chiaramente come i regimi non si fermano mai a casa loro. Ci mostrano come le violazioni esponenziali dei diritti in casa sono il precursore di politiche espansive nel mondo. Un avvertimento chiaro sulla volontà di ribaltare l’ordine mondiale basato sulle regole: un dittatore anywhere prima o poi è un pericolo everywhere.

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