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La vendita di artiglieria sudcoreana all’Egitto e le relazioni con l’Occidente

L’Egitto acquista obici semoventi dalla sudcoreana Hanwha Defense: l’accordo (storico) nasconde anche dinamiche politiche internazionali per evitare che il Cairo scivoli verso Cina e Russia

La Defense Acquisition Program Administration della Corea del Sud ha annunciato martedì primo febbraio che la Hanwha Defense, gruppo numero uno dell’industria militare di Seul, ha firmato un contratto per esportare obici semoventi K9 e altri veicoli di supporto all’Egitto. Il valore del deal si aggira attorno a 1,7 miliardi di dollari, e sarebbe il più grande accordo di export della storia della società.

È una notizia interessante che conferma sia la volontà egiziana di mantenere un ruolo centrale di potenza regionale della fascia Medio Oriente e Mediterraneo, anche attraverso il rafforzamento delle proprie forze armate, sia che Il Cairo – che nei giorni scorsi si è visto bloccare una parte simbolica degli aiuti militari ricevuti annualmente dagli Stati Uniti – continua a essere un interlocutore dei Paesi democratici nonostante i suoi problemi con i diritti civili e umani.

D’altronde, l’amministrazione Biden che ha bloccato un decimo (130 milioni di dollari congelati su oltre un miliardo) dell’assistenza militare fornita ogni anno agli egiziani è la stessa che giorni prima aveva dato via libera all’accordo di vendita per una dozzina di velivoli da trasporto e alcuni sistemi radar (valore totale sopra ai due miliardi), e che non interferisce nell’intesa coi sudcoreani – val la pena notare che la Hanwha fa parte del sistema US-minded dei fornitori di armamenti nel mondo.

Secondo le informazioni raccolte da Defense News circa 200 sistemi di artiglieria K9 saranno forniti all’esercito egiziano, insieme a decine di veicoli di supporto, come i mezzi per il trasporto/rifornimento munizioni K10. Una prima spedizione arriverà ready-to-use in Egitto, mentre il grosso dell’ordine verrà prodotto nella Factory 200, un’azienda della difesa appena fuori Il Cairo. Una formula che permette al governo di Abdel Fattah al Sisi di allargare l’entità del deal al contesto sociale.

La produzione muoverà infatti forza lavoro in un momento in cui anche l’Egitto ha necessità di spingere la propria economia (e abbattere disoccupazione e diseguaglianze economiche). L’accordo è in discussione dal 2009, ma le trattative sono state via via rimandate per oltre un decennio davanti alle rivoluzioni collegate alla Primavera araba e al successivo assestamento del potere con contro-rivoluzioni e scontri interni.

Per Hanwha l’export non è solo da record, ma è anche la prima vendita in Africa, e questo segna un passaggio dal valore geopolitico. Le attività di Seul come di Tokyo nei settori della difesa e nell’ambito delle operazioni di sicurezza (pensare al pattugliamento di Hormuz) stanno crescendo in questi anni. In parte si tratta di interessi di carattere economico-commerciale, in parte seguono le traiettorie della Cina, potenza con cui competono sia a livello regionale che globale.

Per Washington la presenza di quei due alleati come fornitori di Paesi dell’area del Mediterraneo Allargato (che la dottrina americana definisce con l’acronimo Mena) è un sollievo davanti al rischio che certi partner regionali scivolino verso un rafforzamento delle relazioni con Pechino. L’artiglieria sudcorena è accettata negli standard Nato, di cui sia Egitto che Corea del Sud sono “major ally” secondo la definizione delle dottrina strategica del Pentagono – entrambi nominati nel 1987 da Ronald Reagan.

Accordi di questo genere si portano dietro forme di dialogo e contatto utilizzate in senso più ampio per promuovere un maggiore rispetto dei diritti e della rule of law e diventano una forma di sostegno alla stabilità e alla crescita economica del Paese. Sotto quest’ottica, la decisione dell’Egitto di chiedere formalmente un nuovo prestito al Fondo monetario internazionale (Imf) è un’altra delle forme di collegamento per far restare Il Cairo agganciato al sistema dell’ordine internazionale a guida Usa.

L’istituzione internazionale con sede a Washington ha fatto sapere che la decisione dipende da ciò che Il Cairo è in grado di assicurarsi da altre fonti di prestito da cui è dipesa negli ultimi anni, in particolare, il mercato obbligazionario, i depositi degli alleati del Golfo, e la vendita di beni gestiti dal fondo sovrano egiziano (Tfse). L’Imf ha recentemente espresso la sua frustrazione per la diminuzione degli investimenti privati e la mancanza di risposta da parte del governo egiziano davanti alle richieste di modificare la legge sulla concorrenza.

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