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La guerra, l’impazzimento del nickel e i metalli per la transizione energetica

Il conflitto ucraino, oltre alle ragioni di sicurezza militare, è l’anticamera di tensioni latenti lungo le filiere dei materiali critici. Le reazioni schizofreniche dei mercati ricordano come l’Ucraina fosse un importante hub per gli approvvigionamenti globali. Esistenti, ma anche potenziali: come il litio per l’Unione europea…

La guerra in Ucraina è destinata a cambiare molti scenari. Non solo l’architettura di sicurezza europea, con un ritorno roboante alla “politica di potenza”. Ma anche i mercati, specialmente quelli legati alle materie prime, già vessati dalla pandemia e dai piani di rilancio e spesa pubblica implementati a livello globale.

La notizia di ieri del contratto future a tre mesi del nickel, schizzato oltre i $100.000 a tonnellata e in seguito sospeso dagli scambi dalla London Metal Exchange, è in questo senso paradigmatico. “La Lehman Brothers delle materie prime è solo appena iniziata”, ha twittato in merito l’analista ed esperto Gianclaudio Torlizzi.

Si tratta di un metallo non-ferroso essenziale per la produzione di acciaio inox, ma sempre più ambito a livello industriale per la manifattura delle batterie elettriche seppur la domanda dal settore sia ancora limitata rispetto all’industria pesante.

Il panico dei mercati è giustificato tanto sul rischio forniture quanto sulla possibilità che le sanzioni vadano a colpire le compagnie minerarie russe, come Nornickel il cui output corrisponde al 7% della produzione mondiale. Ma soprattutto che le esportazioni (la Russia è il terzo produttore globale di nickel dopo Indonesia e Filippine) vengano reindirizzate verso i mercati asiatici (specialmente la Cina, che ha iniziato una corsa ad assicurarsi un paniere variegato di risorse energetiche e non), penalizzando così le industrie euro-americane.

Il caos continua a regnare anche nel mercato spot del litio, seppur non ai livelli registrati dal nickel negli ultimi giorni, ma scosso da un rialzo del 400% nel 2021. Trend rialzista che si registra anche per grafite, cobalto e terre rare. Negli ultimi giorni, il governo cinese ha riunito i principali produttori domestici di neodimio-praseodimio (la lega fondamentale per la produzione di magneti per i motori dei veicoli elettrici) per calmierare i prezzi, di fronte ad un record nel prezzo indice. Sembra pesare soprattutto una frenata nell’output a fronte di una forte ripresa della domanda interna, secondo Shanghai Metals Market.

In questo contesto, è lecito domandarsi quale potrebbe essere l’impatto sui consumatori finali, e nello specifico dei battery metals il settore automotive. Se da una parte la guerra in Ucraina non sembra poter avere effetti di breve-medio periodo sul funzionamento complessivo della supply chain dei semiconduttori – la cui carenza è stata il principale motivo della frenata dei colossi dell’auto mondiali –, sul lato materie prime gli effetti sono già evidenti.

L’associazione dei produttori tedesca, la VDA, in un comunicato ha avvertito degli effetti potenziali per la carenza di palladio, utilizzato nei convertitori catalitici, del nickel classe 1 utilizzato nelle batterie al litio e nella disponibilità di neon, un input molto importante nel processo di fabbricazione dei microchip.

Rialzo dei prezzi e problemi di fornitura sono tra i nemici sostanziali della transizione ai veicoli elettrici, la cui penetrazione conta non solo sugli incentivi pubblici, ma sulla parità di prezzo tra EV e veicoli a combustione. Il costo medio delle batterie al litio è sceso dell’89% dal 2010, con il costo delle celle attestatosi intorno ai $101/kWh. Significative fluttuazioni dei prezzi delle materie prime come litio e nickel possono impattare fortemente i produttori, dal momento che i margini di riduzione del loro utilizzo in catodi e anodi sono attualmente trascurabili per via della composizione chimica delle batterie. Si tratta di scenari che potrebbero rallentare la corsa all’elettrico: se le tensioni geopolitiche dovessero protrarsi a lungo, in un contesto di già forte tensione sui mercati, il 2022 potrebbe sancire un’inversione nel trend decennale per il costo delle batterie.

In un’ottica di medio-lungo termine, il destino dell’Ucraina è legato anche a doppio filo con la disponibilità di litio per la domanda europea e i piani di diversificazione delle forniture da parte della Commissione. Entro il 2030 il consumo europeo di litio per batterie (EV e accumulo energetico) potrà aumentare di 18 volte secondo i piani industriali e di decarbonizzazione. Nel secondo rapporto sulle dipendenze strategiche della Commissione presentato a febbraio, tra i composti chimici in cui l’UE è più dipendente dall’estero figura proprio l’ossido e l’idrossido di litio, con Russia (58.9%), USA (20.9%) e Cile (8.1%) tra i principali partner commerciali del blocco europeo.

Una possibile e interessante soluzione per garantirsi le necessarie forniture l’Europa l’avrebbe avuta nel suo fianco orientale. Secondo alcuni prospetti geologici condotti da ricercatori dell’Istituto Geologico ucraino, il paese potrebbe ospitare fino a 500.000 tonnellate di riserve di ossido di litio. Si tratta di stime iniziali, che non tengono conto ancora di tutti i fondamentali del mercato e dell’effettiva economicità dell’eventuale estrazione in scala. Ciononostante, i ricercatori concludono che si tratterebbe di riserve e risorse che farebbero dell’Ucraina “il paese più ricco d’Europa” e tra i principali paesi per giacimenti di litio al mondo.

Non a caso, il governo ucraino aveva siglato con la Commissione europea un importante memorandum lo scorso luglio con il quale si avviava una partnership strategica nel settore delle materie prime e in particolare nella catena del valore delle batterie. L’obiettivo sarebbe stato quello di includere gli stakeholder ucraini nelle principali iniziative europee, garantendo l’accesso ai finanziamenti e alle attività di ricerca. A questo fine, il vice-presidente Sefcovic aveva coinvolto il ministero dell’Ecologia e delle Risorse Naturali ucraino all’interno dell’European Raw Materials Alliance e dell’European Battery Alliance. Un’iniziativa di importanza secondaria solo al Deep and Comprehensive Free Trade Areas, siglato nel 2014 ed entrato in vigore nel settembre del 2017.

Lo scorso anno l’Ucraina si era aperta anche a potenziali investitori internazionali, concedendo licenze per attività esplorative per sviluppare il suo potenziale minerario. Tra i possibili beneficiari, l’australiana European Lithium e la cinese Chengxin Lithium che lo scorso novembre avevano sottoposto un offerta per assicurarsi due importanti depositi: uno localizzato a Shevchenkivske, nella regione del Donetsk, l’altro a Dobra nella regione occidentale di Kirovograd. L’acquisizione da parte della compagnia australiana sarebbe avvenuta attraverso una transazione finanziaria con l’azienda ucraina Petro Consulting LLC, in attesa che quest’ultima ottenesse la licenza mineraria dalle autorità pubbliche ucraine.

Dunque, il conflitto ha certamente reso queste iniziative se non impossibili, certamente improbabili nel prossimo futuro. Resta da capire quanto queste dinamiche abbiano pesato nel calcolo strategico del Cremlino, soprattutto se consideriamo che la destabilizzazione politica del Paese, il danneggiamento di infrastrutture critiche e la fuga di investitori e imprese sicuramente non potranno giocare in favore di un rinnovato comparto minerario ucraino.

Intanto, Vladimir Putin ha firmato nel tardo pomeriggio di ieri un decreto per attuare misure ritorsive nei confronti delle sanzioni occidentali. Sarà vietato l’export di una lista di materie prime, ancora da determinare dal gabinetto del Presidente entro due giorni, con potenziali e devastanti ripercussioni sulla stabilità dei mercati mondiali. La guerra delle supply chain è iniziata.



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