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Non solo la Iss. Tutte le conseguenze della guerra sullo Spazio

Tre decenni di cooperazione spaziale tra la Russia e il mondo occidentale stanno andando in pezzi come i detriti provocati dall’arma antisatellite lanciata da Mosca quattro mesi fa. E per la Ue si palesano carenze strategiche che devono far riflettere. L’opinione dell’ingegnere esperto aerospaziale Marcello Spagnulo

La ritorsione russa alle sanzioni economiche adottate da Usa e Ue a seguito dell’invasione in Ucraina sta evidenziando in modo assai brutale alcune lacune della strategia spaziale europea.

Il tutto sta accadendo mentre il settore industriale si trova nella fase critica di transizione tra la quinta e la sesta generazione del veicolo di lancio Ariane, pietra centrale della sovranità tecnologica europea nello spazio. Secondo il calendario ufficiale dell’Esa, il nuovo Ariane 6 dovrebbe debuttare entro quest’anno ma un ulteriore ritardo appare assai probabile.

Andiamo con ordine, perché nel settore spaziale l’impatto delle ritorsioni russe alle sanzioni della Ue è diversificato.

Non sono più disponibili gli aerei cargo Antonov, russi e ucraini, per trasportare i satelliti europei dai siti di produzione alla base di lancio della Guyana; non sono più disponibili i razzi Soyuz per mettere in orbita i satelliti strategici Galileo (il Gps europeo) e Cso (i satelliti spia francesi); non è più disponibile il lanciatore pesante Proton che avrebbe dovuto decollare da Baikonur a luglio per trasportare il rover europeo Exomars su Marte; non sono più disponibili componenti tecnologici chiave dei satelliti europei, come i propulsori elettrici fabbricati dall’azienda russa OKB-Fakel, e il motore dell’Avum, il quarto stadio del lanciatore Vega, che è fabbricato dalle aziende ucraine Yuzhmash and Yuzhnoye situate a Dnipro, città chiamata “Rocket City”, per le sue fabbriche missilistiche che non sembrano al momento essere state danneggiate dai russi; non sono al momento più disponibili i razzi e le capsule Soyuz per gli astronauti europei sia per raggiungere la stazione spaziale Iss e sia per rientrare a terra (ora bisognerà affidarsi a Elon Musk), e inoltre tutte le attività di sperimentazione e ricerca già programmate sulla stazione sono sospese o annullate.

La dipendenza dell’industria spaziale europea dai fornitori russi e ucraini viene quindi seriamente influenzata dalle conseguenze della guerra ed evidenzia falle strategiche che aprono a scenari di riflessione.

Bisogna però essere chiari su un punto e cioè che l’autonomia della Ue non è in pericolo.

Infatti, per quanto riguarda i satelliti la componentistica russa è reperibile anche in Francia, anche se a costi maggiori, mentre per il loro trasporto si dovrà giocoforza passare, anche qui con costi aggiuntivi, agli aerei cargo Beluga della Airbus cui però apportare modifiche perché non sono pressurizzati come gli Antonov. Per ciò che concerne il lanciatore Ariane e la base della Guyana va detto che non c’è dipendenza da forniture russe o ucraine, e il rimpatrio improvviso dei tecnici russi da Kourou bloccherà le operazioni solo sul sito di lancio Soyuz, un’area che è praticamente un’enclave distante dalle altre installazioni europee.

Ciò che è in gioco per l’Europa è però la cosiddetta “autonomia strategica”, cioè la capacità di programmare e agire in maniera del tutto autarchica su base sia commerciale che tecnologica. Su questo urge per la UE una ri-focalizzazione strategica.

Exomars è un progetto che risale al 2003 ed è costato due miliardi di euro ai contribuenti europei. Dopo gli studi iniziali ESA decise di realizzare una duplice missione i cui lanci erano affidati a razzi americani Atlas più potenti dell’europeo Ariane. Ma dopo qualche anno gli Stati Uniti ritirarono il loro veicolo di lancio e l’ESA si rivolse alla russa Roscomos per utilizzare il lanciatore Proton. Tra ritardi ed extra-costi la prima missione partì nel 2016 (il lander Schiaparelli purtroppo si distrusse nell’impatto) e la seconda, prevista nel 2020, fu rinviata di due anni per problemi a un sistema di frenata della sonda.

Ora la geopolitica terrestre ha cambiato di colpo lo scenario e la Russia ha bloccato la spedizione del rover Rosalind Franklin che era in procinto di essere spedito a Baikonur. Anche se Esa trovasse un nuovo vettore di lancio ci sarebbe il problema di come sostituire il lander Kazachok di costruzione russa che avrebbe dovuto far scendere il rover sulla superficie marziana. È previsto un Consiglio Esa il 16 marzo per affrontare questa situazione che, oggettivamente, appare piuttosto compromessa.

Al di là del problema contingente occorre riflettere su un tema strategico.

È vero che l’esplorazione planetaria è un terreno di collaborazione internazionale per eccellenza, ma anche in quest’ambito l’autonomia tecnologica è politicamente fondamentale. Bisogna cioè essere in grado di effettuare in maniera autonoma una missione ambiziosa come quella su Marte, magari integrando collaborazioni internazionali per componenti o esperimenti non cruciali per la riuscita della missione stessa. Nel caso di Exomars, ESA ha sempre dovuto far affidamento a veicoli di lancio diversi dal suo e oggi non si può non evidenziare un deficit strategico concettuale che non deve essere ripetuto.

Ora si spera di non dover chiudere il rover di Exomars in un baule come è stato il caso della capsula Expert, un altro progetto dell’Esa varato nei primi anni duemila e che doveva essere lanciato su un razzo Volna da un sottomarino russo. Dopo dieci anni di sviluppo e di finanziamenti, a maggioranza italiani, i russi si ritirarono e dal 2012 la capsula giace chiusa, e dimenticata, in un baule presso lo stabilimento olandese dell’Esa.

L’Europa si trova poi in una situazione delicata per quanto riguarda la commercializzazione dei suoi veicoli di lancio. La guerra in Ucraina sembra essere arrivata nel momento peggiore per la società francese Arianespace che vende sul mercato commerciale i vettori Ariane, Vega e Soyuz. Di quest’ultimo erano previsti sedici lanci per mettere in orbita i satelliti Galileo e Cso più quelli della costellazione OneWeb che ora dovrà trovare un back-up altrove rescindendo i contratti commerciali in essere per cause di forza maggiore.

Il delicato periodo di transizione tra Ariane 5 e Ariane 6 si prospetta incerto perché restano cinque voli di Ariane 5 tra il 2022 e il 2023 e, come detto sopra, ci sono forti dubbi sul fatto che Ariane 6 voli quest’anno. Non si può escludere quindi la necessità di prolungare la vita operativa di Ariane 5 con tutto ciò che ne consegue in termini di fondi necessari che i governi sarebbero chiamati a sottoscrivere.

Poi c’è il tema del lanciatore Vega di fabbricazione italiana. Oggi l’approvvigionamento dei motori ucraini è in una situazione delicata ma il punto su cui bisognerebbe riflettere è un altro. Da anni l’Italia propone lo sviluppo di una versione più performante del Vega da sempre ignorata dai tedeschi (che non hanno mai investito un euro nel Vega) e in ogni sede contrastata dai francesi.

Solo per fare un esempio: il 19 novembre 2019 il Senato di Parigi pubblicò un ponderoso volume chiamato “Lanciatori Europei: rinnovare l’ambizione europea” in cui alle pagine 53 e 54 è scritto  espressamente che la Francia avrebbe dovuto opporsi a ogni una versione più performante del Vega dato che ciò avrebbe potuto disequilibrare la ripartizione dei satelliti da lanciarsi con Ariane 6 e con il Vega stesso, al punto che quest’ultimo avrebbe potuto persino lanciare i satelliti Galileo e sostituire il Soyuz. In pratica, proprio quello che oggi avrebbe potuto evitare l’attuale situazione critica.

Dato che giusto pochi mesi fa il governo italiano e quello francese hanno siglato un Accordo bilaterale sui lanciatori a latere del Trattato del Quirinale, c’è da augurarsi che i lavori congiunti siano proficui e scevri da preconcetti. Servirà una vera strategia spaziale concordata, non di sola facciata e soprattutto negoziata in modo abile e accorto.

Un ultimo tema, su cui torneremo con articoli specifici, è quello della Iss. Ci si chiede se la guerra in Ucraina comporterà la scomparsa della stazione spaziale. Roscosmos ha affermato che le sanzioni occidentali spingeranno la Russia a uscire dal programma. Anche se ciò dovesse succedere sarebbe difficile che possa avvenire nel breve termine (anche se non si può escludere niente) ma il numero di missioni potrebbe ridursi drasticamente, quantomeno da parte russa. Gli Stati Uniti proveranno certamente a rimpiazzare i cargo russi Progress con i loro Cygnus e Dragon anche per mantenere la quota operativa della Iss ed evitare rischi di perdita di controllo, e non è da escludere che la Nasa avesse già piani in questo senso.

In ogni caso la situazione è molto delicata anche perché le prossime manovre di correzione orbitale dovranno essere effettuate entro tre mesi e se non saranno i russi a farle bisognerà cominciare a provarle con le astronavi statunitensi. Tutto ciò comporta per l’Europa due cose: una dipendenza univoca dalla Nasa per quanto riguarda i voli dei propri astronauti e la necessità di ridefinire la propria strategia per l’esplorazione umana. Forse non è un caso che giusto un mese fa a Tolosa il presidente Macron aveva rilanciato l’idea di un’autonomia europea nell’astronautica. Il mondo è cambiato nel giro di trenta giorni.

Gli americani possono però contare sulle aziende private che, finanziate dalla Nasa, costruiscono razzi e astronavi riutilizzabili e progettano le prossime stazioni orbitanti commerciali, mentre la Russia abbraccia la Cina e costituisce il nuovo polo asiatico spaziale con potenziale attrattivo per India, Iran, Turchia, Corea del Nord e altri paesi asiatici L’Europa è nel mezzo con un indubbio deficit strategico e, in questo caso, anche tecnologico che gli altri paesi sapranno sfruttare in ogni tavolo negoziale.

Benvenuti nel XXI secolo.



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