L’invasione russa in Ucraina apre un nuovo spiraglio per Kostantin Malofeev, l’oligarca russo ortodosso e nazionalista che tifava Salvini e Le Pen. Da pesce piccolo a squalo, ha attirato i riflettori dei “caccia-teste” americani. E vuole giocare un ruolo nella “nuova” Russia, che nuova non è
A volte ritornano. Nella “Grande Russia” ortodossa, reazionaria, eurasiatica che Vladimir Putin cerca di comporre invadendo l’Ucraina c’è spazio anche per Kostantin Malofeev. Quarantasette anni, barba folta e occhi vitrei, l’oligarca e tycoon televisivo russo è un volto noto alle cronache italiane. Il suo nome era finito nelle carte dello scandalo Metropol, la rete di incontri e relazioni russe della Lega e di Matteo Salvini culminata nella visita dell’allora vicepremier a Mosca nell’ottobre del 2019 e poi finita nelle carte di un’inchiesta della procura di Milano dagli esiti ancora incerti.
Oggi Malofeev è tornato agli onori delle cronache, ma per altre ragioni. C’è anche lui nella lista “prioritaria” di ventisette oligarchi pubblicata mercoledì dal Tesoro americano in risposta all’invasione russa. Insieme a Putin saranno nel mirino della nuova task force transatlantica Repo (Russian elites, proxies and oligarchs) di cui farà parte anche l’Italia.
Un tempo relegato alle seconde file nella gerarchia del potere russo, Malofeev ritrova nella campagna nazionalista e revisionista di Putin una seconda ascesa agli altari. Ne è riprova l’attenzione che i “caccia-teste” americani ed europei alla ricerca di yacht, ville e conti in banca degli oligarchi russi gli stanno dedicando.
Sotto sanzioni già dal 2014 con l’accusa di aver finanziato i separatisti russi nel Donbas, il miliardario è di nuovo nell’occhio del ciclone. A inizio marzo la procura di Manhattan ha incriminato un ex produttore tv con un passato a Fox News, John Hanick, per aver ricevuto soldi da Malofeev violando le sanzioni.
L’accusa del Dipartimento di Giustizia, che ha appena inaugurato una sua task force per dare la caccia agli oligarchi, “Klepto capture”, è di aver violato le sanzioni lavorando con un uomo “fortemente legato all’aggressione russa in Ucraina”. Non che il diretto interessato smentisca, anzi. Tre giorni fa, con un post sul social network russo VKontakte, Malofeev applaudiva l’invasione militare, “una nuova fase nella vita di una Russia millenaria”.
Per capire il momento d’oro dell’oligarca vicino alla Lega basta rispolverare il suo curriculum. Moscovita, classe 1974, ha fondato nel 2005 Marshall Capital Partners, società di private equity. Un affare riuscito, che nei primi anni 2000 gli ha fatto accumulare un discreto patrimonio: 2 miliardi di dollari. Convertito all’ortodossia, ha dato alla causa religiosa un potente megafono fondando Tsagrad Tv, canale apprezzato negli ambienti ultra-conservatori che non di rado fa scolorire al confronto i più “moderati” giornali ufficiali della propaganda russa, Sputnik e RT (messi al bando da Ue e Usa dopo l’invasione in Ucraina).
L’identikit di “patriottico, ortodosso, imperialista” (copyright suo) lo ha accreditato come un punto di riferimento dei movimenti di ultradestra e dell’integralismo cattolico europeo, inciampati nello “Tsagrad Group of Companies”, il consorzio con cui Malofeev rimpingua le casse di decine di organizzazioni caritatevoli russe votate alla promozione della cristianità, tra cui la nota Saint Basil the Great. Nella rete di contatti, tra gli altri, è finito il Rassemblement National (ex Front National) di Marine Le Pen.
Con la Lega e Salvini i contatti sono stati sporadici. Ma intorno all’oligarca russo hanno ruotato personaggi chiave della stagione sovranista a via Bellerio, quando il “Capitano” lanciava il cuore oltre l’ostacolo preferendo la leadership di Putin a quella di Angela Merkel.
È il caso di Claudio d’Amico, ex parlamentare leghista e consigliere del segretario, presente alla firma del memorandum tra Lega e Russia Unita, il partito di Putin, nel marzo 2017 (rinnovato tacitamente due settimane fa, anche se considerato “nullo” dai leghisti). L’altro trait d’union ha il nome di Alexey Komov, braccio destro di Malofeev e già presidente onorario dell’associazione “Lombardia Russia” animata da Gianluca Savoini, il mediatore dei rapporti tra Carroccio e Mosca.
Acqua sotto i ponti, forse. Quella stagione leghista è oggi rinnegata, ma intanto Malofeev ha acquisito peso e rispetto nell’inner circle del Cremlino, complici le sanzioni occidentali che da quelle parti sono medaglie al petto. I continui attacchi all’ “ideologia gender”, gli occhiolini alla retorica omofoba e la difesa dei “valori tradizionali”, che negli anni scorsi hanno trovato ospitalità in arene ultra-conservatrici in Italia come il “Congresso delle famiglie” di Verona, vedono ora Malofeev e il suo impero mediatico in sintonia con la retorica che da anni giustifica agli occhi delle élites russe l’invasione e la guerra in Ucraina. La stessa agitata dal patriarca Kirill nella sua “benedizione” della crociata russa contro il Paese vicino.
Non è un caso se un ospite frequente delle tv di Malofeev sia Alexander Dugin, filosofo e ideologo apprezzato da Putin e dal Cremlino negli anni ’90, tra i padri del nuovo pensiero “eurasiatico” che riaffiora ancora una volta nella campagna propagandistica del governo russo intorno all’invasione ucraina. Un’altra sponda alla “nuova Russia” sognata da Putin che così nuova non è.