La Russia mette in atto le peggiori tattiche di guerra per sfinire gli ucraini e convincerli alla resa. I negoziati sono in stallo mentre continuano contatti diplomatici tra Ue, Usa e Regno Unito
La trattativa arranca: è questa la definizione che esce dai negoziati tra Russia e Ucraina. Un’ora e mezzo di dialogo diretto prima di lasciare spazio ai gruppi di lavoro su temi specifici, ma – spiega alla stampa statale russa il portavoce del Cremlino – “il livello di progressi nel negoziato non è all’altezza di quello che vorremmo”.
Mosca vuole la resa, l’Ucraina – che ha resistito a questi primi ventisei giorni di invasione mostrando anche le debolezze russe e riuscendo a compattare contro Vladimir Putin una buona fetta di mondo – non intende arrendersi. Emblematico quanto successo a Mariupol, città costiera dell’Est ucraino distrutta dall’attacco russo – i profughi fuggiti dalla violenza russa raccontano di una città devastata, “non esiste più” dicono all’Associated Press. Il governo ucraino ha annunciato nella notte che “non deporrà le armi e non lascerà al nemico la città assediata”, in risposta all’ultimatum posto dalla Russia.
Si attende una sanguinosa battaglia finale, con i civili che rischiano di essere sempre più vittime designate contro cui i russi sfogano le difficoltà incontrate sul campo. Nella notte è stato bombardato un centro commerciale a Kiev (otto vittime, tutti civili), e il sindaco della capitale, l’ex pugile Vitaly Klitschko soggetto preferito dell’iconografia della resistenza, ha fatto notare su Twitter che questo è un classico atteggiamento di Mosca. Attacca i mall per lasciare i cittadini (ucraini in questo caso) senza generi di prima necessità: l’obiettivo è far incattivire quegli stessi cittadini contro i propri governi, colpevoli della situazione. Succedeva in Siria, nelle città in mano ai ribelli (l’obiettivo era far arrivare i cittadini di quelle aree a rimpiangere la dittatura assadista che la Russia proteggeva). Anche per questo si parla di sirianizzazione.
Putin ha dato il via alle peggiori tattiche di guerra con l’obiettivo di esercitare pressioni affinché l’Ucraina accetti le richieste sulla neutralità e sui propri territori. Ma per la vicepremier ucraina, Iryna Vereshchuk, “la resa non è un’opzione”. A differenza dell’ottimismo interessato della Turchia, non ci sono passi avanti diplomatici anche minimi. Ankara cerca un ruolo, o meglio cerca il ruolo di grande pacificatore, ma esclusi gli annunci (in parte propagandistici in parte frutto della volontà di far trapelare ottimismo e positività anche per sollecitare gli attori in campo) non ci sono novità.
Il fronte è bloccato tanto quanto i negoziati. I russi non progrediscono e anche a questo si legano gli attacchi sempre più violenti e spietati. Ci sono stati nei giorni scorsi dei contrattacchi, ma anche questi procedono senza un’ondata decisiva. Tra il tutto fermo uno dei fatti più interessanti è la richiesta di mediazione avanzata alla Cina dal ministro degli Esteri ucraino, Dmitro Kuleba. “Per decenni – ha scritto su Twitter – le relazioni ucraino-cinesi sono state basate sul rispetto, la comprensione e il beneficio reciproci. Condividiamo la posizione di Pechino sulla necessità di trovare una soluzione politica alla guerra contro l’Ucraina e facciamo appello alla Cina come potenza globale a svolgere un ruolo importante in questo sforzo”.
Quel “potenza globale” ha un peso per Pechino, che si sente riconosciuta di un ruolo che forse – al di là di dichiarazioni propagandistiche – non ha intenzione di svolgere. Oggi, lunedì 21 marzo, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che domani parlerà alle Camere italiane, ha pressato l’Unione europea, chiedendo di bloccare qualsiasi genere di commercio con la Russia, compreso quello di materie energetiche. È effettivamente in atto una programmazione per sganciarsi dalla dipendenza oil&gas da Mosca, potrebbe passare anche dall’Africa e l’Italia sta lavorando per questo, ma alcune nazioni europee potrebbero andare in difficoltà con un distacco immediato.
“Per il momento è impossibile che l’Europa faccia a meno del nostro gas”, ha dichiarato il vicepremier russo. Parole che arrivano mentre a Bruxelles i ministri degli Esteri europei discutono su nuove sanzioni sull’energia che dovrebbero essere indirizzate a Mosca entro breve. Il francese Jean Yves Le Drian ha aggiunto che oltre al tema energetico c’è quello alimentare, la necessità di agire per evitare una crisi mondiale che potrebbe essere molto pericolosa in alcune aree del mondo come il Medio Oriente.
Ci sono poi altre due preoccupazioni a Bruxelles: la ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, è stata chiara parlando di otto milioni di profughi in arrivo in Europa e della necessità di assistere gli ucraini con un ponte aereo (che tecnicamente sarebbe complicato perché si svolgerebbe in aree di conflitto). Baerbock ha anche proposto di aumentare l’aiuto militare a Kiev, mentre da Washington sarebbero in arrivo armi d’epoca sovietica che gli ucraini sanno maneggiare efficacemente.
Il secondo tema è quello affrontato dal portavoce della Commissione: l’esecutivo è “al lavoro per migliorare la preparazione rispetto a minacce chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari”. Il piano è antecedente alla guerra, ha spiegato il funzionario, ma è evidente che le condizioni generali siano cambiate.
In serata è prevista quella che i diplomatici definiscono “una girandola di contatti”: il presidente del Consiglio, Mario Draghi, sentirà l’americano Joe Biden, il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, il presidente francese, Emmanuel Macron e il premier inglese Boris Johnson. Queste conversazioni anticipano il Consiglio straordinario Nato e il Consiglio europeo che si terranno a Bruxelles giovedì.