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Per Putin l’appuntamento con il debito è solo rimandato

Il prossimo 4 aprile Mosca dovrà onorare 2,2 miliardi di dollari di interessi sui bond sovrani. Cifra stratosferica rispetto ai 117 milioni versati a metà marzo. Qualora l’ex Urss fallisse il colpo dovrebbe chiedere aiuto alla Cina e all’India. Ma la porta potrebbe rimanere chiusa

Qualcuno potrebbe dire che è stato uno scherzo o magari solo una falsa partenza. Quando due settimane fa, nel pieno della guerra in Ucraina e con le sanzioni dell’Occidente già operative, la Russia ha staccato 117 milioni di dollari in cedole, si è capito che forse Mosca il default lo poteva evitare.

Non bastava il triplice downgrade del debito sovrano, arrivato a stretto giro dalle sorelle del rating, Moody’s, Fitch e Standard&Poor’s. E non bastavano le sanzioni, dolorosissime, che di fatto tagliano ancora oggi grosse porzioni di finanza e industria russa dal mondo circostante. Mosca fino a un quarto d’ora prima del pagamento aveva minacciato di onorare gli interessi sul debito in rubli, moneta che in quel momento era crollata (oggi è a quota 0,012 dollari, sui valori pre-invasione), e invece all’ultimo aveva schivato il burrone.

Almeno fino ad oggi. Perché il canovaccio torna a ripetersi e non è tanto una questione di pagare in rubli o dollari, quanto di importi. Il prossimo 4 aprile il ministero dell’Economia russo, guidato da Anton Siluanov, dovrà versare nelle tasche dei creditori sottoscrittori di bond russi ben 2,2 miliardi di dollari, cifra superiore di oltre il 1.700% rispetto al pagamento di quindici giorni fa. I 117 milioni erano poca cosa rispetto alla scadenza prossima ventura, poco più di un warm up.

“L’ultimo pagamento, a metà marzo, è stato un piccolo investimento in credibilità, ma quando la Russia deve iniziare a onorare assegni da miliardi di dollari è un calcolo diverso”, ha chiarito Jay Newman, ex portfolio manager di Elliott Management. “Non credo sia realistico che la Russia riesca a sostenere uno sforzo da 2,2 miliardi di dollari”. Il pagamento delle obbligazioni, il 17 marzo, aveva già spaventato gli investitori perché non era chiaro se la banca centrale russa sarebbe stata in grado di utilizzare la sua riserva, congelata, di dollari statunitensi, per effettuare il versamento e se le banche americane avrebbero collaborato con il paese per trasferire il denaro.

Lex Urss probabilmente dovrà raccogliere i soldi da altre fonti, prendendo in prestito denaro o vendendo petrolio a Paesi come la Cina o l’India. E qui potrebbero essere dolori, soprattutto sul fronte cinese. Come raccontato da Formiche.net, infatti, il Dragone sembra voler proseguire in quell’atteggiamento tutto sommato equivoco, dichiarandosi da una parte fedele alleata di Mosca ma tenendo ben pronte le sue aziende e le sue banche a prendere il largo in caso di default. Insomma, a tirarsi fuori qualora Mosca avesse bisogno della liquidità con cui fronteggiare i pagamenti.

Qualche avvisaglia si era già vista. Poche settimane fa alcuni grandi istituti del Dragone hanno deciso di mettere in stand by il flusso dei finanziamenti destinato a Mosca, per l’acquisto di materie prime. Senza considerare la freddezza di Pechino dinnanzi all’offerta di quel petrolio che l’Europa si rifiuta di acquistare. Ora però le relazioni commerciali e finanziarie tra i due Paesi sembrano complicarsi ulteriormente e sempre a causa della sanzioni imposte da Ue e Stati Uniti.

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