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Telefonata Draghi-Zelensky. La Russia rinvia i negoziati turchi

Saltano di un giorno i negoziati che la Turchia doveva ospitare per trovare un cessate il fuoco russo in Ucraina. Putin non ha spinta sul campo, i colloqui rallentano

Il presidente del Consiglio Mario Draghi ha avuto una nuova conversazione telefonica con il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky. Un colloquio telefonico con al centro gli ultimi sviluppi del conflitto. Zelensky ha lamentato il blocco da parte russa dei corridoi umanitari e la prosecuzione dell’assedio e dei bombardamenti delle città. Draghi ha ribadito il fermo sostegno a Kiev e la piena disponibilità dell’Italia a contribuire all’azione internazionale per porre fine alla guerra e promuovere una soluzione durevole.

Il Cremlino ha fatto saltare a domani, martedì 29 marzo, l’inizio del nuovo round di negoziati per fermare in qualche l’invasione dell’Ucraina avviata oltre un mese fa per ordine di Vladimir Putin. Una campagna di sangue che ha prodotto migliaia di morti e milioni di rifugiati, senza che la Russia ottenesse guadagni territoriali.

Ed è qui che sta la questione di fondo dietro ai colloqui: Mosca vorrebbe sedersi vantando leve collegate ai vantaggi tattici ottenuti sul campo, ma non riesce a farlo perché il fronte è fermo, in difficoltà, e subisce anche dei contrattacchi. Tanto che il ministero della Difesa russo ha esposto pubblicamente la volontà di concentrarsi sul Donbas.

Un ridimensionamento degli obiettivi farcito di propaganda che però non riesce a nascondere le difficoltà di Putin. La guerra si sta incancrenendo, gli attacchi su obiettivi civili aumentano perché la Russia sfoga la rabbia per la resistenza ucraina. Le violenze crescono anche perché all’interno del campo di battaglia iniziano a muoversi unità ibride.

I nuovi negoziati che verranno ospitati dalla Turchia – dove sono arrivati i ministri degli Esteri di Mosca e Kiev – hanno un elemento in più rispetto ai vari, infruttuosi tentativi di dialogo visti finora: l’ucraino Zelensky ha ventilato la possibilità di un’Ucraina neutrale, come richiederebbe Putin, in cambio dello stop immediato degli attacchi russi (ci sono situazioni umanitarie al limite, come quella di Mariupol, devastata dall’aggressione russa e isolata, denuncia la Croce Rossa).

Tecnicamente è un passo in avanti, sebbene Zelensky non intenda mollare sul riconoscimento dell’autonomia delle province indipendentiste del Donbas, altra richiesta di Mosca. Non è chiaro però quanto questo possa cambiare lo stato delle cose, ossia cosa a questo punto Putin sia disposto ad accettare come risultato finale di una campagna tutt’altro che rafforzativa dello status della sua Russia.

“Le priorità dell’Ucraina al prossimo round di colloqui ucraino-russi in Turchia questa settimana saranno sovranità e integrità territoriale”, ha detto l’ucraino nel suo discorso video notturno: “Le nostre priorità nei negoziati sono note: e ripeto che la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina sono fuori dubbio”.

C’è sfiducia, reciproca e generale. Per esempio, “oggi non ci saranno corridoi umanitari”, ha annunciato la vicepremier ucraina, Iryna Vereshchuk, via Telegram: il motivo è che l’intelligence ucraina è a conoscenza di un piano russo di “provocazioni” che suggerisce di non aprire i corridoi per questioni di sicurezza.

Quello che c’è da aspettarsi è una guerra statica, prolungata: i dialoghi di pace sono una speranza, ma le condizioni per un cessate il fuoco non sembrano ancora essersi concretizzate sul campo. L’altra opzione per la fine del conflitto è tutta interna alla Russia e parla di un regime change – termine proibito perché apre una serie di narrazioni e di incongruenze molto delicata.

Quello che è evidente è che una lunga guerra aumenterà la pressione politica ed economica sui governi occidentali. Le parole dell’americano Joe Biden contro Putin – quelle da Varsavia che arrivavano a ipotizzare una sua uscita di scena – sono state poco diplomatiche, e lo hanno esposto a una fitta serie di critiche. Ma hanno un senso pratico.

Il Cremlino le ha definite “allarmanti”, ma il dato di fatto è che relazioni normali tra Russia e Occidente sono inconcepibili finché Putin rimane al potere. Oggi Gideon Rachman, il capo degli editorialisti di politica estera del Financial Times, l’unico giornale in grado di dettare l’agenda ai governi, ha scritto: “Un cambio di regime in Russia può essere necessario per evitare disordini politici in Occidente”.

La base del ragionamento è che Putin non mollerà e il prolungamento della guerra – che per ora ha avuto dall’Occidente una risposta compatta – a lungo andare peserà sulle economie e sugli interessi occidentali al punto di diventare un elemento divisivo.

(Foto, Twitter, @UAWeapons)


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