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Il Dragone cede a Wall street. Sì alle ispezioni nelle quotate

Dopo due anni di braccio di ferro e ultimatum, Pechino alleggerisce le regole che impedivano alla vigilanza americana di accedere ai libri delle aziende cinesi quotate a New York. Una vittoria per Washington, che era già pronta a espellere cinque imprese del Dragone

E pensare che l’aut-aut era arrivato poco meno di tre settimane fa. O l’apertura dei libri contabili o la cacciata da Wall Street. A quanto pare ha funzionato, le società cinesi quotate a New York preferiscono cedere alla richiesta piuttosto che fare i bagagli e rinunciare alla finanza americana. Tanto da consentire alla Sec, la Consob statunitense, di mettere finalmente il naso nei bilanci delle aziende quotate del Dragone, attive nel campo tecnologico e non.

Un basso indietro. Pochi giorni fa la Securities and Exchange Commission ha deciso di nominare 5 aziende cinesi quotate negli Usa come le prime a dover subire il delisting in una lista nera di 270 gruppi, la cui stesura è iniziata sul finire dell’amministrazione Trump. L’Autorità di regolamentazione americana ha comunicato anche i nomi dei destinatari dei primi fogli di via, ovvero il gigante del fast food Yum China, le biotech BeiGene e Zai Lab, HutchMed e la società di attrezzature per i chip integrati Acm Research (che dopo l’annuncio ha perso il 22,05% ). Senza considerare che a stretto giro la mannaia si sarebbe abbattuta anche su due autentici colossi della finanza cinese, Alibaba e Nio.

Il provvedimento della Sec è giunto a seguito della legge approvata nel dicembre 2020 che richiedeva alle società cinesi quotate a Wall Street di permettere agli organismi di vigilanza statunitensi la revisione degli audit finanziari. In questo senso, il Foreign Companies Accountable Act aveva fissato un termine di 3 anni per il rispetto delle società e dei loro revisori dei conti degli standard. Finora Pechino ha sempre impedito alle società nazionali di soddisfare le richieste delle autorità americane, in quanto ritenute frutto di una politicizzazione della regolamentazione. Ora però il vento sembra cambiato e in Cina non è più tempo di misteri.

Il governo di Xi Jinping ha infatti deciso di rivedere le sue leggi in materia di segretezza degli audit, con una innegabile e significativa concessione alle pressioni di Washington. La China Securities Regulatory Commission, il principale organismo di vigilanza finanziaria cinese, ha dichiarato di voler cambiare le leggi sulla riservatezza che impediscono alle sue società quotate all’estero di fornire informazioni finanziarie sensibili alle autorità di regolamentazione straniere.

Più nel dettaglio, ha scritto il Financial Times, l’organismo di vigilanza cinese ha affermato che le sue regole esistenti, quelle che per l’appunto hanno impedito finora agli Stati Uniti di accedere alle informazioni sensibili di dette società, erano diventate improvvisamente obsolete. È la mossa più significativa mai fatta da Pechino per cercare di impedire che le società cinesi a New York possano essere cancellate dalla quotazione entro e non oltre il 2024.

Ora, la sterzata del Dragone dovrebbe creare un quadro finalmente favorevole per le autorità di regolamentazione statunitensi per ottenere l’accesso ai file di audit aziendali. Un esempio? L’ultima bozza di regolamento aggiornato da Pechino e che è stata sottoposta a consultazione pubblica fino al 17 aprile, elimina il requisito che prevede come l’ispezione dei rendiconti finanziari delle società cinesi quotate all’estero debba essere condotta principalmente dalle autorità di regolamentazione cinesi stesse.

In altre parole, da questo momento gli ispettori della finanza americana potranno accedere ai libri e ai bilanci delle aziende cinesi quotate a New York. Modifiche che, a detta delle stesse autorità dell’ex Celeste Impero, “faciliteranno la cooperazione normativa transfrontaliera, comprese le ispezioni congiunte, per la protezione degli investitori globali”. Agli Stati Uniti va dunque il primo round.

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