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Dove corriamo noi, dove ci aspetta il Risorto. La riflessione di D’Ambrosio

Si corre con le previsioni e i desideri piccoli o grandi che siano: la nostra vita da gestire, ma anche la pandemia da superare definitivamente e la guerra da archiviare. C’è anche chi corre via da fame, prigionie, violenze, epidemie e guerre, non solo in Ucraina. I migranti lo sanno fin troppo bene. La riflessione di Rocco D’Ambrosio

“Correvano insieme tutti e due – Pietro e Giovanni – ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro” (Gv 20). E chi di noi, in questo mondo, non corre? Si corre per impegni di lavoro, ritmi incalzanti, scadenze scelte o imposte. Ma si corre anche con la mente o il cuore, come per i progetti di vita per migliorare e progredire.

Si corre con le previsioni e i desideri piccoli o grandi che siano: la nostra vita da gestire, ma anche la pandemia da superare definitivamente e la guerra da archiviare. C’è anche chi corre via da fame, prigionie, violenze, epidemie e guerre, non solo in Ucraina. I migranti lo sanno fin troppo bene. Alcune volte si corre anche senza sapere dove andare, per evasione. Ed è ovvio che corre bene chi sa dove andare e come andarci. Chi ha una meta. Ma anche chi è libero di farlo.

La Pasqua, cioè il celebrare la Resurrezione di Cristo, è una festa difficile, non solo per i non credenti, ma anche per i cristiani. Non tutti sono disponibili a correre verso un sepolcro vuoto, per quanto possa essere una conferma. Solo Maria resta sperando di incontrare il Cristo: cosa che poi avviene. Ci sono corse che non appagano, né rispondono a tante domande che tutti ci portiamo dentro. La guerra finirà presto? Il cammino di pace soccomberà? La linea storica è quella del progresso etico e sociale (oltre che tecnologico), o la crescita integrale dell’umanità è una terribile illusione? E’ una corsa in discesa o in salita?

La corsa di Pietro e Giovanni si conclude con la visione dei “teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte”. Ben poca cosa rispetto a un evento annunciato essere di portata storica: un uomo che risorge dai morti. Eppure ambedue vedono quei piccoli particolari e credono.

Certo “il buon Dio alberga nel dettaglio” (Aby Warburg); ma per quanto i discepoli ne avessero visti tanti, di dettagli, eppure la resurrezione era ancora fuori dalla portata di mente e cuore. Fino ad allora “non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”. Su questa difficoltà a comprendere non bisogna glissare, né aver paura di analizzare i nostri dubbi di fede. Certamente non aiuta il diffondersi, tra i cristiani, di un atteggiamento ideologico, dove fede, impegno per la pace e cura degli altri, alcune volte si trasformano in crociate senza cuore e senza ingegno; non aiuta la pretesa di avere risposte su tutti i drammi personali e globali; non aiuta il sentirsi depositari di verità, chiudendosi al dialogo con gli altri.

I discepoli non avevano compreso. Noi non abbiamo compreso. Ci sono sfuggite tante cose, ce ne sfuggono ancora tante, della pandemia e della guerra, come delle ferite personali e relazionali. Bisogna rimettere ordine, altrimenti un nuovo nichilismo avrà la meglio, come ha ben scritto Riccardo Cristiano su queste pagine. Come per i discepoli, come anche per noi, nessuno inizia da zero. Ci saranno sempre da qualche parte parole pregnanti, non vuote; relazioni sane, non false; un diritto non giullare del potere, ma tutela specie dei poveri e degli ultimi; politici probi e competenti, e non lupi travestiti da pecore; ci saranno pure “teli e sudari riposti in ordine”, contro il caos di una parte di mondo. Si inizia di lì per (ri)credere, per rialzarsi, per rinascere, per costruire.

Lo ha scritto cosi bene Ernesto Balducci: “la morte di Gesù fu una morte politica e non una morte privata, porta i sigilli dei poteri di quel tempo. Ecco perché l’annuncio pasquale non è fatto per darci una provvisoria esaltazione immaginativa, è fatto per risospingerci alle radici dove noi elaboriamo le nostre scelte fondamentali. È lì che tutto si decide. Dio guarda nel cuore e non alle nostre chiacchiere o ai nostri riti. È in questa profondità, dove noi ci troviamo di continuo al bivio fra morte e vita, che decidiamo di noi stessi e decidiamo del futuro del mondo. Fatta questa riflessione, acquistiamo in qualche modo il diritto di abbandonarci al rito, alle parole sacre, ma contenendole coscientemente dentro la riserva che abbiamo posto: tutto questo è vano, anzi è menzogna se non passa attraverso il filtro del senso di responsabilità che abbiamo cercato di rievocare sulle pagine della Scrittura”.


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