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Perché Filippine e Giappone si legano nell’Indo Pacifico

Filippine e Giappone rafforzano la cooperazione militare. Dopo l’Indonesia, Tokyo continua nel suo intento di rappresentare un hub regionale in chiave anti-Cina

Il Giappone continua nel suo obiettivo strategico di diventare un hub interno nelle politiche dell’Indo Pacifico e stringe un accordo di cooperazione con le Filippine. Quella concordata nei giorni scorsi è un’ulteriore espansione della partnership in materia di difesa sullo sfondo delle tensioni regionali e dell’invasione della Russia in Ucraina — conflitto che si sta portando dietro strascichi globali.

L’incontro a Tokyo dei ministri degli Esteri e della Difesa delle due nazioni asiatiche è stato il primo nel formato “2+2” tra due dei principali alleati degli Stati Uniti nella regione, e anche per questo assume rilevanza. Maggiorata dalla posizione tutt’altro che morbida che giapponesi e filippini hanno nei confronti della Cina. Dimensione delle relazioni in costruzione che Washington apprezza.

I due paesi cercheranno di migliorare l’attività di cooperazione, anche tramite un patto di condivisione degli approvvigionamenti per le loro forze armate, ha detto il ministro degli Esteri giapponese, Yoshimasa Hayashi, dopo l’incontro. E significa che la nazione ospitante l’hub del comando navale statunitense che copre l’Indo Pacifico, che si trova a Yokosuka (nella Baia di Tokyo), sceglie di muoversi in modo semi-indipendente e di farsi polo attrattivo non solo per le questioni economiche e commerciali, ma anche per quelle più strategiche e geopolitiche. Perché questo è l’intento di Tokyo: costruire all’interno dell’imprescindibile fronte americano un proprio spazio, proprie priorità, propria personalità.

Tokyo e Manila sono stati in disaccordo con la Cina sulla complicata e annosa questione del Mar Cinese, sia Meridionale che Orientale, su cui sono state espresse “serie preoccupazioni” e forte opposizione alle “azioni destabilizzanti” — come la militarizzazione degli isolotti contesi da parte della Cina, che Hayashi ha definito “un tentativo di sconvolgere lo status quo”. L’aggressione della Russia in Ucraina e le sue conseguenze (si teme che la Cina possa essere incoraggiata a intensificare ulteriormente le sue attività militari nella regione indopacifica), così come i test missilistici della Corea del Nord sono ulteriori elementi di preoccupazione reciprocamente indicati.

“Rafforzeremo la cooperazione in materia di difesa alla luce dell’ambiente di sicurezza sempre più duro“, ha commentato Hayashi, che recentemente è stato invitato a partecipare al vertice ministeriale Nato. Già dal 2015 Giappone e le Filippine hanno stretto i legami e le cooperazioni militari, e da allora hanno condotto quasi 20 esercitazioni navali congiunte. Nel 2021 hanno anche tenuto esercitazioni congiunte delle forze aeree per la prima volta.

Il Giappone ha anche trasferito attrezzature più sofisticate che potrebbero aiutare le Filippine ad aumentare i pattugliamenti nel Mar Cinese Meridionale, dove si snodano dispute territoriali con la Cina che hanno coinvolto le flotte di pescherecci – uno degli asset che Pechino usa in modo ibrido, come elemento di disturbo geopolitico.

Il quadro 2+2 con le Filippine è il nono per il Giappone (recentemente un patto simile, il Reciprocal access agreement, è stato firmato con l’Australia), ma solo il secondo nel sud-est asiatico, dopo l’Indonesia. Anche in quel caso il motore che ha ravvivato le relazioni è stato quello della Difesa e sicurezza, dimostrando tra le altre cose che Tokyo è tornato a interessarsi alle materie di carattere strategico più classiche. Sulla stessa linea l’interesse alla costruzione del caccia F-X, che potrebbe essere il primo jet da combattimento sviluppato internamente dal Giappone da quarant’anni e su cui l’Italia potrebbe fornire un contributo industriale.

Alla base di tutto c’è il rapporto con la Cina, con il Giappone che vuole condurre dall’interno il fronte di contenimento ed essere il primus inter pares con gli americani. Una volontà per accrescere il proprio ruolo sfruttando una migliore conoscenza delle sensibilità regionali rispetto agli Stati Uniti — che tuttavia restano il grande contro-bilanciamento a Pechino.

L’obiettivo comune è quello che viene abitualmente definito un “free and open” Indo Pacifico, libero da “rivendicazioni marittime illegali, militarizzazione, attività coercitive e dalla minaccia o l’uso della forza nel Mar Cinese”, come hanno ribadito i due Paesi.

Nel comunicato congiunto c’è anche un passaggio sulla guerra russa in Ucraina che contiene un chiaro messaggio politico indirizzato a Washington: “Questa aggressione mette in pericolo il fondamento dell’ordine internazionale che non accetta alcun cambiamento unilaterale dei confini internazionalmente riconosciuti attraverso l’uso della forza, colpendo così non solo l’Europa ma anche l’Asia”. Messaggio inequivocabile davanti ad alleati americani più laschi con la Russia.

Tra due mesi — a fine giugno — si chiude la presidenza filippina di Rodrigo Duterte e con lui una serie di dinamiche (come l’avvicinamento alla Cina, anche nell’ottica di un antagonismo al sistema dei diritti occidentali) potrebbero venire meno a Manila.


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