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Sabotaggi e incidenti. La guerra fantasma tra Mosca e Kiev

Incendi sospetti, esplosioni, incidenti o sabotaggi? Azioni clandestine o negligenza? Russia e Ucraina combattono anche in una zona grigia molto utile alla propaganda

Incendi inspiegabili e ferrovie sabotate, attacchi contro la catena logistica, esplosioni improvvise. Il fronte in Ucraina è apparentemente fermo, ma qualcosa continua a muoversi lo stesso. Non ci sono avanzamenti consistenti, ma sono in corso aggiustamenti tattici che fanno pensare a un allungamento dei tempi delle operazioni. Ritirata da Kiev e dal nord, la Russia non ha sfondato nemmeno nella fascia meridionale e orientale (dove una settimana fa è iniziata una nuova fase della guerra), sebbene l’inerzia sembri a essa favorevole. Mentre passa il tempo e procedono i posizionamenti, quello che si muove è invece l’infrazione dietro alle linee nemiche.

Mosca ha mostrato una mappa con cui ha individuato i vari punti della linea ferroviaria ucraina colpiti con attacchi mirati a bloccare la catena di rifornimento che porta armi occidentali nel Paese. Kiev ha sottolineato che non sono stati determinanti: rallentano i percorsi logistici, ma non li bloccano e dunque le varie nuove tipologie di armamenti che Stati Uniti ed Europa (Italia compresa) stanno inviando in Ucraina, arriveranno al fronte.

Le ferrovie sono parte del tema tattico del momento. La Russia ha ritardato attacchi contro queste infrastrutture che per settimane hanno permesso il collegamento ai rifornimenti ucraini. Possibile che i motivi di questo ritardo siano tecnici: gli ultimi attacchi sono stati eseguiti con i missili da crociera (di cui secondo l’intelligence inglese alla Russia è rimasto a disposizione solo il 30 per cento dell’arsenale). Questi però non sono l’ideale: servirebbero gli aerei, ma difficilmente Mosca allarga i raid al di fuori delle zone di controllo, temendo di finire vittima della contraerea.

Le ferrovie sono anche parte di una delle storie più affascinanti di questo conflitto, quella dei sabotatori bielorussi. A partire dai primi giorni dell’invasione di febbraio, una rete clandestina di ferrovieri, hacker e forze di sicurezza dissidenti è entrata in azione per disabilitare o interrompere i collegamenti ferroviari che collegano la Russia all’Ucraina attraverso la Bielorussia, devastando le linee di rifornimento russe. È una delle ragioni che ha bloccato l’assalto dal Nord: il caos logistico ha lasciato le truppe russe senza munizioni e rifornimenti per giorni. Si tratta di sabotaggi anche semplici, contro i quadri elettrici che regolano binari e scambi, quanto efficaci.

Quelle in Bielorussia sono tra le operazioni esterne al teatro ucraino che riguardano il conflitto. Altre sono gli attacchi probabilmente organizzati da Kiev contro le infrastrutture militari russe nei pressi dei confini. Anche nella mattinata di oggi, mercoledì 27 aprile, un deposito di munizioni nella regione di Belgorod ha preso fuoco. E non è stato l’unico. Nei territori russi (soprattutto tra i più prossimi all’Ucraina) si stanno verificando da giorni quelli che per Mosca sono solo incidenti, ma che seguendo il pattern che si andrà ricostruire aprono qualche sospetto su possibili operazioni clandestine.

Il 25 aprile sono circolate le immagini della spettacolare esplosione di due cisterne di carburante a Bryansk, cittadina russa a metà strada circa fra Mosca e Kiev. Causa ignota, tutto è possibile, dal sabotaggio hacker all’attacco aereo (droni), fino all’incidente chiaramente. Nello stesso giorno l’edificio del direttorato per la Sicurezza del governo locale in Transnistria è stato colpito con almeno un razzo — poi due antenne di radio che tramettevano in russo distrutte ieri è questa mattina i ribelli locali hanno detto di aver individuato droni nei cieli. La regione separatista e filorussa della Moldova, al confine con l’Ucraina, è un fattore di altissima tensione in questi giorni perché potrebbe rientrare nei piani del Cremlino connetterla con la Crimea, tagliando da sud l’accesso al mare ucraino (la Transnistria è già oggetto di narrazioni e propaganda simili a quelle del Donbas).

Anche in questi casi non è chiaro chi sia stato l’autore: ci sono accuse sull’Ucraina, ma tra le varie speculazioni è ipotizzabile anche a un false flag russo per giustificare eventuali azioni successive. Continuano la ricostruzione: il 21 aprile è esploso un incendio a Tver, a 160 chilometri da Mosca, in un laboratorio che sviluppa missili: si parla di cause accidentali. Il primo aprile un attacco aereo (con elicotteri da combattimento) ha fatto esplodere altri due depositi di carburante a Belgorod: i russi hanno accusato gli ucraini, che a loro volta hanno negato coinvolgimenti.

Ancora a Belogorod, il 30 marzo è saltato in aria un deposito di missili e la Russia ha accusato l’Ucraina di un attacco notturno. Meno di una settimana prima, il 24, nella città portuale di Berdyansk, a 70 chilometri da Mariupol, la nave da sbarco “Saratovè stata distrutta da un incendio che ha danneggiato la “Caesar Kunikov” e la “Novocherkassk” ormeggiate a fianco. Sempre a marzo, il 14, c’era stato un raid elicotteristico a Klimovo, vicino al confine settentrionale ucraino: anche in quel caso la Russia ha accusato l’Ucraina, Kiev in silenzio.

Operazioni in una zona grigia in cui ognuno dei contendenti ha interessi da difendere. I russi non vogliono mostrarsi deboli (e incapaci, nel caso si tratti di incidenti per scarsa manutenzione o negligenze), ma allo stesso tempo usano con vittimismo interessato gli attacchi sul proprio territorio. Di più: recentemente da Londra è arrivata la difesa alla legittimità di certe azioni ucraine (ammesso che lo siano), anche dovessero essere usate armi occidentali. Il ministero degli Esteri di Mosca ha risposto che a questo punto sarebbero legittimi anche attacchi russi nei territori di quei Paesi che riforniscono di rinforzi a Kiev.

L’Ucraina usa il contesto a proprio interesse: tiene un profilo basso, evita polemiche e spettacolarizzazioni. Se serve fa capire di intestarsi le azioni dimostrando capacità di colpire anche in Russia. Altrimenti lascia spazio al caos prodotto dall’assenza di certezze sui fatti, e non conferma. È il fog of war.


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