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Libia in crisi, primi effetti sul petrolio

La Libia è in fase critica, e gli effetti si sentono direttamente sul mondo energetico del Paese, con ripercussioni sul mercato globale. Alcuni impianti petroliferi sono stati chiusi per le divisioni interne

Il campo di produzione petrolifera di al Sharara e quello di El Feel, entrambi a sud di Tripoli, i porti di Zuetina e Marsa El Brega, nella Mezzaluna petrolifera, subiscono le prime conseguenze evidenti di uno stallo politico che in Libia va avanti da diverse settimane. Al momento sono stati chiusi dalla National Oil Corporation per evitare tensioni ulteriori davanti a un’invasione di manifestanti (probabilmente organizzati per raggiungere questo scopo). Una situazione che si stringe come un cappio e rischia di deteriorarsi ulteriormente se non si arriverà in modo rapido e negoziato a una soluzione.

“Con una mossa assurda che ha segnato il nuovo titolo del conflitto nel Paese, un gruppo di individui ha esercitato pressioni sui lavoratori del giacimento petrolifero di Al-Sharara, costringendoli a chiudere gradualmente la produzione e rendendo impossibile per Noc l’attuazione dei suoi obblighi contrattuali. Di conseguenza, Noc è obbligata a dichiarare lo stato di forza maggiore nel giacimento petrolifero di Al-Sharara fino a nuovo avviso”, spiegava la compagnia petrolifera libica controllata dallo Stato in una nota, poi costretta a decisioni simili altrove.

In Libia esistono due governi. C’è l’esecutivo di Abdelhamid Dabaiba, premier nominato lo scorso anno con un processo onusiano e da un paio di mesi sfiduciato dalla Camera dei Rappresentanti; c’è il governo in formazione di Fathi Bashaga, a cui il Parlamento ha affidato la fiducia politica per traghettare il Paese verso elezioni presidenziali e parlamentari da tenersi nel corso del prossimo anno (anno e mezzo). Dabaiba non vuole lasciare l’incarico: forte dell’elezione in ambito Onu (tramite il processo del Foro di dialogo politico libico), vuole essere lui a portare la Libia al voto. Bashaga ha ricevuto il mandato perché le elezioni che dovevano svolgersi il 24 dicembre 2021 sono state prima rinviate di un mese e poi saltate del tutto, e dunque il Parlamento considera conclusa (fallita) la missione del cosiddetto Governo di unità nazionale.

Un gruppo chiamato “South Libya Elders” ha guidato le manifestazioni negli scorsi due giorni contro gli output del petrolio, dicendo in una dichiarazione che questa misura andrà avanti fino a quando il governo di Dabaiba non lascerà l’ufficio a Tripoli e consegnerà il potere al gruppo di Bashagha. Il gruppo è vicino all’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar. Ciò che ha fatto nascere lo scontro è la decisone di sbloccare 8 milioni di dollari di proventi petroliferi precedentemente bloccati secondo un accordo per l’equa ripartizione delle risorse. Dall’Est vuole che a gestire questi emolumenti sia Bashaga, perché sostanzialmente non si fidano di Dabaiba.

La situazione è tesissima, nelle scorse settimane ci sono stati anche scontri tra le milizie che difendono i due fronti. Bashaga, il cui nome è uscito da un accordo che comprende le varie anime del Paese, sta però aspettando di entrare a Tripoli senza usare la forza. Dabaiba non molla perché si considera legittimato e dichiara il voto di sfiducia illegittimo. Come spiegato su queste colonne da Daniele Ruvinetti (Fondazione Med-Or) sono in corso da giorni trattative febbrili per risolvere lo stallo istituzionale in modo fluido. E quando si tratta, in Libia, è facile che ne escano passaggi bruschi come quello di Sharara. Per questo, scrive Ruvinetti, una fase così critica servirebbe maggiore impegno dell’Europa.

Il mondo energetico è il più sensibile, perché è un modo per richiamare l’attenzione legato in questo momento alla triste cronaca della guerra russa in Ucraina e al conseguente nervosismo dei prezzi dell’Oil&Gas, e soprattutto alla necessità per l’Europa di sganciarsi dalla dipendenza russa. Processo che è stato già avviato da diversi Paesi, tra cui l’Italia. La Libia — che in questo quadro può avere un ruolo — ci ricorda, qualora ce ne fosse bisogno, che questa differenziazione coinvolge regioni e attori che hanno alle spalle complessi problemi di stabilità.

Impossibile pensare di trattare solo l’approvvigionamento di materie prime energetiche (e gli aumenti di esso), senza affrontare le questioni politiche e geopolitiche che da tempo attanagliano certi Paesi. Questioni che peraltro coinvolgono attori esterni che potrebbero risentire dell’onda lunga della guerra di Putin. La Libia in questo è un caso di studio. Per anni ha fatto da sfogo di un conflitto intra-sunnismo che ha visto impegnati gli attori dello status quo — Egitto, Emirati Arabi, in parte l’Arabia Saudita — contro Turchia e Qatar. Di questo scenario ha approfittato la Russia, che si è schierata con i primi in Cirenaica.

Miliziani del Wagner Group russo sono presenti nell’Est, nel centro e nel sud libico, e hanno aiutato Haftar, a cercare di rovesciare il precedente governo onusiano di Tripoli — salvato solo grazie all’intervento armato turco durante le fasi più buie della campagna haftariana. Un ruolo, quello dei russi, su cui il Cremlino disconosce collegamento e controllo, sostenendo che si tratti di affari di una società privata. Ora il capo miliziano della Cirenaica fa in qualche modo parte dell’accordo su Bashaga, e quei player esterni hanno iniziato forme di dialogo.

C’è una sorta di allineamento d’astri, ma restano attori (tra le milizie tripoline come tra i gruppi di spinta di Bengasi) che lavorano per la destabilizzazione. Negli ultimi giorni, dopo che sono circolate alcune fotografie di Bashaga a Tunisi in presunte consultazioni con i ministri di Dabaiba e diversi capi militari nella città di Misurata per cercare una quadra concordata, sono circolate ipotesi su un’imminente presa della capitale. Chi soffia sul fuoco ne ha subito approfittato. Alcune delle milizie Tripoli e che adesso appoggiano Dabaiba per convenienza si sono schierate in una spettacolarizzazione difesa della capitale.

Le chiusure del petrolio hanno dei precedenti. Furono ordinate Haftar nei mesi dell’offensiva su Tripoli (aprile 2019 – ottobre 2020) a più riprese e sono state segnate da un ruolo operativo giocato dalla Wagner, che in Libia ha usato l’occupazione dei campi petroliferi come priorità tattico-strategica. El Feel, della joint venture Mellitah Oil and Gas (dove partecipano Eni e Noc), è per esempio situato nei pressi di Sebah, che è uno degli unici punti di aggancio degli haftariani e della Wagner nel sud-est del Paese.

Sharara produce circa 450mika barili di greggio al giorno del milione totale libico. Il petrolio è salito dietro alla notizia della sospensione delle attività nel più grande campo petrolifero della Libia. Una questione politica interna che affatica un mercato già influenzato dagli affari internazionali, su cui anche i drastici blocchi pandemici della Cina stanno pesando. I futures del greggio Brent si sono stabiliti sopra i 113 dollari al barile per la prima volta dalla fine di marzo, mentre il petrolio West Texas Intermediate ha chiuso appena sopra i 108 dollari ieri, lunedì 18 aprile.


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