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Nato, un esercito permanente al confine? I piani di Stoltenberg

Stoltenberg annuncia l’intenzione della Nato di creare basi permanenti lungo il confine orientale per scoraggiare eventuali nuove iniziative russe. Un banco di prova cruciale anche per l’Ue, chiamata a rinforzare le sue capacità militari

La Nato sta lavorando a un piano per rendere la presenza militare permanente sul confine orientale nel tentativo di combattere future aggressioni russe, ha scritto il Telegraph, citando il segretario generale Jens Stoltenberg. Il Nato-Russia Founding Act del 1997 dice che la Nato “svolgerà le sue missioni di difesa collettiva e altre missioni attraverso l’interoperabilità, l’integrazione e la capacità di rinforzo, piuttosto che con un ulteriore stazionamento permanente di forze di combattimento sostanziali sul territorio dei nuovi membri”.

L’alleanza è “nel mezzo di una trasformazione fondamentale” che rifletterà “le conseguenze a lungo termine” delle azioni del presidente russo Vladimir Putin, ha spiegato Stoltenberg in un’intervista al giornale inglese. “Quello che vediamo ora è una nuova realtà, una nuova normalità per la sicurezza europea. Pertanto, ora abbiamo chiesto ai nostri comandanti militari di fornire opzioni per quello che chiamiamo un reset, un adattamento a lungo termine della Nato”.

Queste dichiarazioni seguono quelle del capo delle Forze armate statunitensi, Mark Milley, che parlando aveva detto “quello che la Russia ha avviato è un conflitto molto esteso e penso che la Nato, gli Stati Uniti, l’Ucraina e tutti gli alleati e i partner che stanno sostenendo l’Ucraina vi saranno coinvolti per un po’ di tempo”. Per tale ragione, Milley aveva anche consigliato “di creare basi permanenti, ma non stazionare permanentemente [personale], in modo da ottenere l’effetto di permanenza da parte delle forze di rotazione attraverso in quelle basi”. Il generale americano lo chiama “ciclo di forze di spedizione attraverso basi permanenti avanzate”.

Il piano Nato e quello di Washington sono sovrapponibili, anche perché Milley ha detto che le decisioni finali sull’assetto permanente delle forze statunitensi in Europa non sono state decise, aggiungendo che gli alleati della Nato sono stati coinvolti nelle discussioni in corso. Stoltenberg, che recentemente ha annunciato che avrebbe esteso il suo mandato come capo dell’alleanza di un anno, ha anche detto nell’intervista che le decisioni sul reset sarebbero state prese nel prossimo vertice tra i Paesi membri dell’Alleanza Atlantica, che si terrà a Madrid nel mese di giugno. In discussione c’è anche il Consiglio Nato-Russia.

L’invasione della Russia in Ucraina ha scombussolato gli equilibri in Europa (e nel mondo), interrompendo un periodo di pace che dura dalla Seconda guerra mondiale. Ha innescato inoltre la più grande crisi di rifugiati nel continente in epoca moderna e ha portato le nazioni occidentali a ripensare le loro politiche di difesa e la loro postura strategica. La Germania — che subisce i maggiori effetti sistemici dall’invasione russa — ha deciso di aumentare gli stanziamenti sulla difesa, e così ha fatto anche l’Italia (decidendo per un’accelerazione). Si tratta di una passaggio simbolico, per certi versi storico — sebbene richieda implementazioni sull‘operatività.

Altri, Svezia e soprattutto Finlandia, hanno manifestato l’intenzione di entrare presto nella Nato, ulteriore evoluzione storica e simbolica, che ha come ragione la necessità di una forma di rassicurazione efficace davanti a eventuali future mosse russe. Preoccupazione molto sentita tra i Baltici, che — come spiegato dalla prima ministro estone — spingono per aumentare la quantità di armamenti indirizzata a Kiev. Tra questi Stati diffusa è la paura che, spingendo per l’accettazione quasi incondizionata del cessate il fuoco, si possa dare a Putin un’immagine di debolezza.

“La guerra in Ucraina ha messo l’Ue sotto uno stress che non ha precedenti”, ha detto su queste colonne Sergio Fabbrini, direttore del Dipartimento di Scienze Politiche della Luiss, spiegando le necessità che Bruxelles deve affrontare: il nodo della sovranità militare, da sempre rimasto irrisolto, è fondamentale per garantirsi la sicurezza — non “a spese degli Stati Uniti”, come fatto finora con la Nato secondo il docente.

C’è anche uno stress test immediato, al di là degli impegni di lungo termine, che potrebbe essere un segnale. Washington — e la Nato — ha individuato una finestra temporale di una, massimo due settimane per poter rifornire di armi l’Ucraina prima che la Russia riorganizzi le forze e proceda al lancio dell’offensiva lungo la fascia orientale (il Donbas, Kharkiv e Mariupol). Serve inviare assetti pesanti, perché Kiev potrebbe avere l’occasione di contrattaccare, e serve dare rapida formazione agli ucraini su armamenti occidentali (come hanno fatto gli Usa per insegnargli l’uso dei droni Switchblade). Nei giorni scorsi alcuni generali del Pentagono si sono parlati al telefono con omologhi ucraini per farsi spiegare “item-by-item” (come ha detto la portavoce della Casa Bianca) le armi di cui necessitano.

Fino a che punto l’Ue sarà della partita? Dopo la visita di ieri, il primo ministro Boris Johnson ha annunciato che il Regno Unito ha aumentato la quantità e la qualità di assistenza all’Ucraina, inviando missili anti-nave Harpoon (utili per contrastare il martellamento russo  dalle coste del Mar Nero), poi arriveranno sistemi contraerei Starstreak, blindati e pezzi di artiglieria. La Repubblica Ceca ha inviato carri armati T-72, la Slovacchia si è portata più avanti di tutti mandando batterie S300 per proteggere i cieli di Kiev dagli aerei russi (e Washington ha ringraziato mandando a Bratislava un nuovo sistema Patriot). La Lituana ha detto che potrà fornire training ai soldati ucraini per usare armamenti occidentali.


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