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Caccia grossa al chip (cinese). La Russia in ginocchio da Xi

Dopo la fuga dei grandi produttori di semiconduttori occidentali, il sistema di carte di pagamento nazionale russo, il Mir, rischia di rimanere a secco. E allora Mosca bussa alla porta di Pechino, che però potrebbe non aprire. Il precedente del petrolio insegna

Dal panico al panico. Dalla paura di non riuscire più a pagare gli interessi sul proprio debito, non in rubli almeno, a quella di rimanere tagliati fuori dai meccanismi di pagamento internazionali, dopo l’estromissione, parziale, delle banche russe dal circuito globale Swift. A Mosca ci deve essere del nervosismo se, come sembra, il governo di Vladimir Putin si è messo a caccia di microchip per la fabbricazione di carte di pagamento da utilizzare nell’ambito di un circuito in house e fuori dal raggio di azione delle sanzioni.

UNO SWIFT FATTO IN CASA

Che cosa succede? Con la precipitosa fuga dei grandi produttori di microchip, ultimo tra tutti Intel, l’ex Urss è praticamente rimasta a secco di microprocessori. Senza considerare il rompete le righe di Visa, MasterCard, Apple Pay e Google Pay, che hanno sospeso da settimane le operazioni nel Paese a causa dell’embargo, spingendo gli stessi produttori di chip a fare fagotto. Ma prima, un passo indietro, fino alla mossa del Cremlino pensata sopravvivere all’estromissione dalla rete delle transazioni internazionali.

Ovvero la realizzazione del National Payment Card System, riconosciuto dalle sue iniziali russe Nspk, il meccanismo che gestisce il sistema monetario alla base delle transazioni con carte di credito in Russia. Una creatura che è il risultato degli otto anni di sforzi di Mosca per isolare il sistema economico russo dallo stress monetario occidentale. Connessa al Nspk è poi la società russa di carte personali, nota come Mir, che si basa proprio sull’infrastruttura del Nspk. Ad oggi, più di 100 milioni di carte di credito Mir sono state emesse dopo il lancio nel 2015, con l’obiettivo dichiarato di aggirare Swift, anche utilizzando il sistema di messaggistica russo Spfs.

CACCIA GROSSA AL MICROCHIP

Le carte Mir non possono funzionare senza la componente tecnologica. Al Cremlino lo sanno, tanto da essersi rivolti a un cliente d’eccellenza, fedele alleato, almeno sulla carta: la Cina. Sono soprattutto le sanzioni che hanno colpito il sistema finanziario russo ad aver spinto Mosca tra le braccia dei produttori di chip cinesi per le carte bancarie. Le misure adottate dai Paesi occidentali dopo l’invasione dell’Ucraina hanno infatti aumentato la richiesta di carte di credito e bancomat legati al sistema di pagamento nazionale Mir. E l’asso nella manica di Putin, se così si può definire, ha nome e cognome: UnionPay. E il perché di questa scelta è, nell’insieme, logico e strategico.

JOLLY CINESE PER PUTIN

UnionPay, conosciuta anche come China UnionPay, ha sede a Shanghai. Fondata ormai vent’anni fa, nel 2002, nel 2015 aveva già ha superato Visa e Mastercard per valore totale dei pagamenti effettuati dai clienti, ma solo lo 0,5% del volume di pagamenti avveniva al di fuori dalla Cina. Il colosso cinese delle carte di credito, attivo in 180 Paesi, è presente sul mercato russo da otto anni ma non era, finora, particolarmente diffuso.

Ad oggi sono una decina le banche russe che emettono carte UnionPay ma altre stanno valutando la possibilità di farlo abbinando UnionPay al sistema di pagamento nazionale russo Mir. In altre parole, le carte cinesi, già provviste di microchip potrebbero entrare nel circuito Mir in veste di infrastruttura per la Russia. Anche perché con la ripresa del Covid in Cina e Shanghai il lockdown non è facile reperire dei chip nuovi per la Russia. E gli stessi produttori cinesi debbono prima pensare al mercato interno. Di qui, la scelta di immettere sulla piazza russa direttamente carte UnionPay.

OCCHIO AL GRANDE FREDDO

Ma la Cina sarà disposta ad aiutare Mosca? Difficile dirlo, vista l’ambiguità che finora ha permeato l’appoggio del Dragone alla guerra in Ucraina. E c’è un precedente. Nei giorni scorsi, come scritto da Reuters, Pechino ha invitato i suoi colossi PetroChina, Cnooc, Sinochem a non sottoscrivere nuovi contratti per le forniture spot, ossia da concordare a prezzo di mercato e non in base ad accordi di lungo termine che solitamente coinvolgono direttamente i governi.

L’invito alla cautela arriva dopo che nelle scorse settimane sono stati segnalati diverse operazioni in cui le raffinerie cinesi hanno acquistato greggio russo approfittando di prezzi particolarmente favorevoli. Pechino, insomma, cerca di mantenere, almeno apparentemente, una posizione di equidistanza tra Mosca e paesi occidentali, non gradisce operazioni che potrebbero lasciare intendere un sostegno diretto all’economia russa colpita dalle sanzioni occidentali. Varrà anche per le carte?


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