C’è nel mondo arabo a livello ancor popolare prima che istituzionale un compiacimento diffuso per il fatto che nel monotono contesto internazionale dominato dagli Stati Uniti, vi sia qualcuno che abbia osato contrapporvisi. Il commento di Igor Pellicciari, ambasciatore di San Marino in Giordania e docente all’Università di Urbino
Con il passare del conflitto ucraino da Blitzkrieg a maratona bellica, è evidente il disagio dei media nel cercare una lettura univoca che spieghi lo stato dei combattimenti sul campo.
Nonostante o forse proprio perché nata all’epoca dei Social Networks e dell’Informazione h24, il principale dato storico incontrovertibile resterà l’invasione militare dell’Ucraina da parte della Russia di fine Febbraio 2022, di cui l’Occidente (in particolare europeo) ancora fatica a capacitarsi per le brutali modalità con cui si è manifestato.
Per il resto, sono stati mesi (Marzo-Aprile 2022) di notizie di guerra accavallatesi che, quando tragiche e riferite ad innocenti vittime civili, hanno creato sdegno senza tuttavia riuscire a fornire un quadro sull’andamento reale del conflitto.
Non è ad oggi dato sapere con certezza quale sia il vero obiettivo generale del Cremlino, lo specifico piano operativo seguito (o se ve ne sia, come probabile, più di uno) né di conseguenza a che punto si trovi la campagna militare russa. Né quanto durerà.
Intanto, raggiunta nei Media la saturazione di narrazioni belliche quotidiane punite da un audience in netto calo, l’attenzione si sposta su aspetti collaterali del conflitto, importanti per comprenderne gli sviluppi, staccati dalla pura micro-cronaca degli scontri al fronte.
Come per esempio la percezione ed il posizionamento rispetto alla crisi da parte del resto del mondo, meno coinvolto nel confronto in atto.
In precedenza, trattando del rivitalizzato Movimento dei Paesi Non Allineati, avevamo notato come Paesi per lo più extra-europei (con l’eccezione della Serbia e in parte dell’Ungheria) non si sono spinti molto oltre il votare il 5 marzo 2022 la risoluzione Onu di condanna dell’aggressione all’Ucraina.
Approvata a schiacciante maggioranza dai membri delle Nazioni Unite (141 voti su 193), essa aveva anche certificato che paesi con circa 4 miliardi e mezzo di popolazione – due terzi di quella mondiale – l’avevano rigettata o (piuttosto) scelto l’astensione; equivalente politico di fatto ad una non-condanna dell’invasione.
Posizione quest’ultima peraltro curiosamente presa da tutti e tre i Paesi (Algeria, Angola e Congo) pressati proprio in questi giorni dal governo italiano in missioni bilaterali in Africa alla ricerca di forniture di gas alternative a quello russo.
Senza dimenticare che solo pochi giorni dopo la visita di Mario Draghi ad Algeri, i notiziari arabi hanno dato grande risalto ad una lunga telefonata tra Vladimir Putin ed il presidente algerino Abdelmadjid Tebboune per “coordinare le future politiche comuni di distribuzione e commercializzazione del gas”. Alla notizia, nonostante le potenziali implicazioni per l’Italia, ha dato risalto solo Formiche.net mentre è stata ahimè snobbata da tutti i principali organi di informazione nostrani.
Essa è indicativa di un mood comune a tutto il mondo arabo e a gran parte del Medio Oriente che vede, seppure con evidenti sfumature diverse, il mantenimento in questa fase di rapporti diplomatici quasi normali con Mosca accompagnati da mainstream istituzionali che coprono distrattamente la guerra in Ucraina. Senza i toni apocalittici proto-nucleari che agitano le nostre pubbliche opinioni. Senza le assurde degenerazioni di cancel culture russofobica in cui è caduto l’Occidente partendo dalla sacrosanta condanna dell’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca.
Cosicché capita in questi giorni di vedere turisti russi recarsi normalmente in vacanza in Giordania, nonostante il Regno Hashemita sia da decenni tra i più affidabili alleati statunitensi su scala globale (al pari se non più di Roma) tra i principali destinatari degli aiuti di Washington, delle cui sanzioni alla Russia molte ha recepito in automatico.
Questo particolare atteggiamento medio-orientale nei confronti della Russia che tiene separate le eventuali divisioni pure gravi del momento dal sistema di relazioni bilaterali consolidate, non è risultato occasionale ma frutto di radicate circostanze politiche e socio-culturali.
Tra le prime va registrata una forte frustrazione – che talvolta sconfina in aperto risentimento – del mondo arabo nei confronti dell’Occidente e in primis degli Stati Uniti. A loro si imputa di avere aperto e/o tollerato negli ultimi due decenni una serie di crisi a ripetizione, giustificandole di volta in volta come necessari passaggi catartici per risolvere il problema palestinese, madre di tutte le questioni arabe.
Invece, le guerre in Libano, Iraq, Siria, Libia, Yemen, le primavere arabe sfuggite di mano con esiti finali più autoritari dei prodromi, milioni di profughi destinati a esodi biblici inumani – non solo si sono sommate in un matassa micidiale impossibile da districare – ma addirittura hanno finito per cronicizzare le questione palestinese portandola su un binario morto.
Lungi dall’idealizzare le finalità della politica estera di Mosca, tuttavia c’è nel mondo arabo a livello ancor popolare prima che istituzionale un compiacimento diffuso per il fatto che nel monotono contesto internazionale dominato dagli Stati Uniti, vi sia qualcuno che abbia osato contrapporvisi.
È un sentimento facilitato a sua volta dai profondi legami che la cultura russa dal periodo sovietico aveva sviluppato con il mondo arabo e che aveva portato ad esempio in Siria prima del conflitto recente il russo ad essere la prima lingua straniera per diffusione e i matrimoni misti tra i due paesi nell’ordine delle decine di migliaia.
Questo tradizionale rapporto strettissimo aiuta in parte a comprendere perché oggi il mondo arabo sia sempre più infastidito dalle pressanti richieste occidentali di schierarsi su una crisi percepita come lontana dopo che per decenni decine di appelli rivolti nel senso contrario sono caduti nel vuoto.
Che la questione palestinese sia nel Medio Oriente più importante e centrale di quella ucraina lo conferma l’apertura che molti notiziari dedicano il 19 aprile 2022 ad un’altra conversazione diplomatica di alto livello per via telefonica tra Putin e il presidente dell’autorità palestinese, Abu Mazen. Altra notizia, ça va sans dire, quasi introvabile sui media nostrani persi nel decifrare mappe militari sconosciute fino a poche settimane fa.