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Due accordi di integrazione economica raccontano il nuovo Medio Oriente

Gli Emirati hanno firmato un accordo di libero commercio con Israele e di partnership industriale con Egitto e Giordania. C’è una volontà di integrazione economica tra gli attori della regione, che sfrutta una fase di allineamento e punta anche a evitare gli effetti delle crisi globali

Due iniziative di questi giorni dimostrano come le economie del Golfo siano alla ricerca di un miglioramento di forme di integrazione reciproca: martedì Emirati Arabi Uniti e Israele firmeranno un accordo di libero scambio di cui si parla da tempo; domenica Egitto, Emirati e Giordania hanno annunciato l’avvio di una partnership industriale.

L’accordo israelo-emiratino ha l’obiettivo di eliminare dazi doganali sul 96 per cento dei prodotti d’interscambio: tra questi quelli alimentari, ma anche quelli legati all’agricoltura, e poi i cosmetici, le attrezzature mediche e medicinali. Questa intesa commerciale — che comprende una nuova regolamentazione anche sugli appalti pubblici.

È la prima di Israele con un Paese arabo ed è conseguenza del nuovo Medio Oriente in costruzione dopo gli Accordi di Abramo. Emirati e Israele hanno normalizzato le relazioni nel 2020 nell’ambito di quel protocollo mediato dagli Stati Uniti (in cui erano inclusi anche Bahrein e Marocco).

Contemporaneamente la partnership industriale emiratino-giordano-egiziano dovrà stimolare la crescita sostenibile e esplorare opportunità di investimenti congiunti nei settori prioritari, in un’ottica di rafforzamento dell’integrazione che Emirati e Giordania, di sponda con Israele, stanno portando avanti anche su altre sue priorità regionali: l’approvvigionamento idrico è la produzione di energia pulita.

Un fondo di investimento da 10 miliardi di dollari è stato stanziato e gestito dalla holding di Abu Dhabi ADQ per accelerare il lavoro sulla partnership altra i tre Paesi arabi, che si snoderà su alcuni settori prioritari di interesse reciproco. Tra questi il petrolchimico, i metalli, i minerali e i prodotti lavorati, il tessile, il farmaceutico e l’agricoltura, gli alimenti e i fertilizzanti.

La nuova iniziativa darà vita a grandi progetti industriali congiunti, creerà opportunità di lavoro, contribuirà ad aumentare la produzione economica, diversificherà le economie dei tre Paesi, sosterrà la produzione industriale e aumenterà le esportazioni, dice l’emiratino Sheikh Mansour bin Zayed, vice primo ministro e ministro degli Affari Presidenziali all’agenzia Wam.

Queste partnership riflettono l’obiettivo degli Emirati Arabi Uniti di trasformare il settore industriale nazionale in un motore di crescita (sostenibile e a lungo termine), promuovendo nuovi ambiti produttivi, costruendo accordi per dare al Paese un ruolo di hub commerciale regionale (e di conseguenza globale).

Seguendo quest’ottica, nei giorni scorsi sono stati firmati due protocolli d’intesa tra Emirati e Turchia, che un tempo erano in contrapposizione ideologica e geopolitica. Nella prima visita di un ministro della Difesa turco negli ultimi 15 anni, l’Associazione Turca dei Produttori di Difesa e Aerospaziale (SASAD) e la sua controparte degli Emirati Arabi Uniti, EDDC, e tra TR Test (società turca di test per la difesa) e Tawazun, autorità per le acquisizioni della difesa emiratina.

Se è vero che Abu Dhabi sta giocando questo ruolo di perno, è altrettanto vero che lo sta facendo sfruttando una quadro regionale in cui è in corso un sostanziale allineamento, che mira anche a superare insieme le crisi globali che potrebbero abbattersi nella regione.

Dagli effetti della guerra russa in Ucraina alla crisi alimentare, la ripresa dalla pandemia è la sicurezza sanitaria futura, lo scontro tra potenze guidato da Usa contro Cina, i cambiamenti climatici e l’affrancamento di quelle economie dal mondo degli idrocarburi (che significa anche agganciare a questo un ulteriore sviluppo umano di certi Paesi).


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