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Governo e opposizione lavorino assieme per ridurre la dipendenza digitale dalla Cina

Xi volerà a Bruxelles. Sarà paciere o polarizzatore?

Serve cautela e attenzione in tutte le fasi di messa a terra del Pnrr nei vari ambiti in cui si articolano i progetti di transizione digitale. Di fronte ai rischi i partiti di maggioranza sapranno seguire lo stimolo lucido che in questi giorni arriva da Fratelli d’Italia? Il commento di Marco Mayer

Nel secondo incontro del Trade and Technology Council (TTC) riunitosi a Parigi il 15 e il 16 maggio scorso l’Unione europea e gli Stati Uniti hanno concordato di accrescere gli sforzi comuni per contrastare adeguatamente la crescente influenza della Cina (e di altri Stati illiberali) nelle tecnologie avanzate ITC, con particolare attenzione al 5G/6G e all’ultrabroadband della telefonia fissa.

Alla conclusione dell’incontro, Gina Raimondo, segretaria al Commercio degli Stati Uniti, e Margrethe Vestager, vicepresidente della Commissione europea, hanno sottolineato come le due sponde dell’Atlantico stiano lavorando alla definizione di politiche tecnologiche e benchmark pienamente coerenti con i valori democratici che caratterizzano il mondo libero.

La velocità dei processi di innovazione crea, infatti, il costante pericolo che le nuove tecnologie di computazione e comunicazione (ITC) siano utilizzate in chiave autocratica o totalitaria. L’esempio più noto di sorveglianza digitale di massa è il social credit system in Cina. Per le autorità locali e nazionali (e per i funzionari del Partito comunista cinese) è facile controllare le opinioni e i comportamenti delle persone. Da un lato tutti i cittadini cinesi (anche i più anziani) hanno l’obbligo di installare l’app WeChat nei loro cellulari; dall’altro il Paese è strapieno di videocamere (palesi e nascoste) come se si vivesse in un aeroporto intercontinentale.

Chi non ricorda il caso drammatico del medico Li Wenliang di Wuhan perseguito dalla polizia perché proprio tramite WhatsApp nel dicembre 2019 aveva tentato (su una chat di colleghi medici) di lanciare l’allarme per il Covid 19?

Rispetto agli Stati Uniti e più recentemnte al Canada, la dipendenza digitale dei Paesi europei dalla Cina oggi è certamente maggiore. Non era cosi all’inizio del millennio quando le università e le Big Tech della California attraevano numerosi giovani talenti dalla Cina e consistenti finanziamenti dal Dragone. Da più di dieci anni le cose sono radicalmente cambiate, ma l’Europa non ha colto il mutamento molto assertivo della politica estera cinese. Questa ingenua (?) lentezza europea si spiega con una buona dose di miopia politico-strategica da parte di Bruxelles (oltre alla incisiva attività di lobbying di gruppi di interesse molto potenti).

Pochi ricordano che nel 2015 l’Unione europea, tramite il Commissario tedesco Günther Oettinger ha siglato con la Cina un accordo globale per il 5G. Per l’Unione euroepa il lavoro istruttorio era stato preparato dalla DG Connect diretta dall’italiano Roberto Viola ed è stato attuato con maggiore o minore ampiezza in quasi tutti i Paesi europei. La più solerte è stata l’Ungheria, che con una dichiarazione del primo ministro Viktor Orbán ha letteralmente spalancato le porte del 5G alla azienda cinese Huawei. Dal 2019 in Italia un allarme politico sui rischi del 5G cinese è stato lanciato unitariamente dal Copasir con un ruolo proattivo di Lorenzo Guerini, Adolfo Urso, Raffaele Volpi, Federica Dieni (e in particolare di Elio Vito come relatore), ma poi non se n’è fatto niente.

Uno degli spunti del rapporto Copasir che merita un ampio lavoro di inchiesta giornalistica è la cooperazione interuniversitaria e scientifica tra Italia e Cina soprattutto nell’ambito delle tecnologie duali. Le libertà di ricerca e di insegnamento costituiscono valori fondamentali. In ambito accademico sarebbe sbagliato fare censure preventive. Occorre tuttavia accendere i riflettori sui finanziamenti cinesi ai nostri atenei per esaminare con accuratezza i progetti più sensibili e borderline (per esempio quelli legati alla Via della Seta digitale) e ovviamente quelli finalizzati all’ambito della ricerca militare.

Nel 2021 lo IAI ha avviato un primo lavoro di notevole interesse su questi temi. Servirebbe un osservatorio nazionale di monitoraggio sui rapporti tra università italiane e aziende cinesi o quanto meno una maggiore interesse dei media. Quest’ultimo aspetto è tuttavia difficile da realizzare. Negli ultimi 5-6 anni si si sono, infatti, consolidati numerosi accordi di collaborazione con il Dragone che coinvolgono Ansa, Rai, Mediaset, gruppo Sole 24 ore, editori come il gruppo Class, eccetera. Non possiamo andare oltre in questa sede ma l’importante è sottolineare che la cooperazione italocinese in ambito universitario e mediatico richiederebbe maggiore trasparenza. E non c’è dubbio che esso si presenta (non meno delle indagini giornalistiche sulla macchina della disinformazione russa) come un filone promettente per le inchieste di tutti i media indipendenti nel nostro paese e in tutta l’Europa.

Per quel che vale anche il sottoscritto (in due distinte audizioni alle commissioni Esteri e Difesa della Camera) ha messo in evidenza i rischi digitali di natura geopolitica. Ben più autorevolmente l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini ha dichiarato solennemente a Formiche.net “Cina fuori dall’Italia per il 5G”.

Sino a tutto il 2021 l’unità amministrativa deputata all’esercizio Golden Power a Palazzo Chigi non ha affrontato con l’attenzione necessaria i rischi connessi alle forniture 5G limitandosi a raccomandare ai gestori telefonici per i contratti con i fornitori cinesi prescrizioni di natura essenzialmente cartacea,  di carattere formale e soprattutto non controllabili sul piano empirico.

Solo recentemente la normativa Golden Power è stata riformata e potenziata dal governo Draghi. Vedremo se funzionerà nel prossimo futuro, a partire dai vincitori dei bandi Pnrr in materia di transizione digitale. Qualora il Pnrr finanziasse (anche solo in qualità sub fornitori delle supply chain) le consociate italiane di gruppi cinesi (o russi) l’effetto sarebbe quello di un boomerang in termini di politica industriale nonché di una profonda lesione lesione della reputazione internazionale dell’Italia.

A oggi nei numerosi bandi di gara più recenti di Consip, infrastrutture critiche ed altre strutture pubbliche appaltanti (Pnrr e non) non c’è esplicito riferimento ai rischi geopolitici e operativi connessi con l’adozione di tecnologie cinesi o russe. Lo stesso vale per la Strategia Nazionale di cybersicurezza 2022-2026.

In Italia cresce da alcuni anni la dipendenza digitale dalla Cina, anche se essa non raggiunge quella dalla Russia nel comparto energetico. Peraltro la Russia preoccupa non solo nel settore dell’energia: in alcuni segmenti della sicurezza informatica centinaia di enti pubblici hanno utilizzato sino al mese scorso tre imprese russe ben radicate in Italia.

È vero che non è mai troppo tardi, ma è molto meglio prevenire. Con la Russia e con la Cina ci vuole molta, ma molta cautela e una particolare attenzione in tutte le fasi di messa a terra del Pnrr nei vari ambiti in cui si articolano i progetti di transizione digitale dalla sanità alle infrastrutture di comunicazione dalla scuola all’automazione industriale, dalla pubblica amministrazione sino alla transizione ecologica ancora priva di regole e parametri condivisi che legittimino pienamente i criteri di finanziamento.

La domanda cruciale è pertanto la seguente: di fronte a questi rischi i partiti di maggioranza sapranno seguire lo stimolo lucido e costruttivo che in questi giorni viene dall’opposizione di Fratelli d’Italia?

È un’occasione da non perdere per esprimere finalmente una volontà comune della maggioranza e della opposizione in un clima di unità e coesione nazionale. Le telecomunicazioni, le tecnologie digitali, l’automazione industriale, la modernizzazione tecnologica della pubblica amministrazione, della sanità e del sistema educativo sono ambiti strategici per tutelare e promuovere i nostri valori e interessi nazionali (peraltro intrinsecamente collegati a quelli di tutta la comunità europea e atlantica). Se non ora quando?


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