Nella due giorni a Washington del premier Mario Draghi c’è spazio anche per gli affari. Ritornano in pista due investimenti di multinazionali americane in Italia che sembravano arenati, si tratta per il Gnl. E gli alleati guardano anche all’Italia per ricostruire l’Ucraina
Nella due giorni di Mario Draghi a Washington DC ci sarà spazio anche per gli affari. La guerra russa in Ucraina sarà il piatto forte del primo viaggio in America del presidente del Consiglio italiano, atteso martedì alla Casa Bianca da Joe Biden. Ma nell’agenda della visita c’è anche il dossier economico. E non è escluso che il vertice possa sbloccare due partite che sembravano perse.
La prima porta il nome di Intel: tra il colosso dei microchip americani e il governo italiano è infatti ancora in corso una trattativa per aprire un impianto di advanced packaging in Italia. Sul tavolo di Giancarlo Giorgetti al Mise c’è una nota con gli ultimi sviluppi dell’affare.
Come anticipato da Formiche.net la trattativa era finita in una fase di stallo. Complice la delusione del governo, palpabile a Via Molise, per il piano di investimenti europei dell’azienda guidata da Pat Gelsinger, che alla Germania e alla Francia ha riservato la fetta più importante con l’impegno a costruire rispettivamente due fabbriche di semiconduttori a Magdeburgo e il nuovo centro europeo di ricerca e sviluppo a Plateau de Saclay.
Nei mesi scorsi non si è riuscito a trovare la quadra per mettere a terra l’investimento italiano di Intel, che fra gli altri siti ha sondato senza successo l’impianto piemontese di Mirafiori. Il governo però non vuole rinunciare all’affare, che vale 11 miliardi di dollari e può dare lavoro a più di 1500 dipendenti. E infatti nelle scorse settimane, ha scritto Repubblica, un gruppo di dirigenti della multinazionale americana è arrivato in Puglia per un sopralluogo dei siti candidati dalla regione guidata da Michele Emiliano: le aree industriali di Giovinazzo (in pole position), di Lecce e a nord della centrale di Cerano a Brindisi.
Si tratterebbe della fase di back-end e di packaging, una parte della supply-chain meno rilevante dell’assemblamento dei semiconduttori che spetterebbe invece all’industria tedesca. Ma per l’Italia rientrare nel piano Intel ha implicazioni strategiche oltre che economiche, perché significherebbe aggiungere un tassello alla diversificazione della supply chain dei microchip e ridurre la dipendenza dal mercato asiatico.
Oltre ad Intel, torna in partita l’interesse di Moderna, multinazionale americana del farmaceutico, per un impianto nel Lazio. In autunno era tramontata l’ipotesi di un investimento della multinazionale, produttrice dell’omonimo vaccino anti-Covid 19 ad mRna, per la creazione di un impianto di produzione di vaccini e di ricerca avanzata (si era parlato di Anagni o Monza). Non del tutto, perché nella cartella di Draghi a Washington c’è anche il dossier sull’azienda di Cambridge. A seguire da vicino la partita è Giovanni Tria, ex ministro dell’Economia e oggi consigliere economico di Giorgetti al Mise, che in un’intervista al Corriere di inizio anno aveva confermato l’interesse per l’affare italiano di Moderna, “disposta a portare in Italia il proprio sistema produttivo con le sue piattaforme a mRna per tutti i nuovi tipi di farmaci”.
Microchip e vaccini sono due partite che, per entità e posta politica in gioco, richiedono un’interlocuzione diretta tra governo italiano e americano. Ma non sono le uniche. C’è in primo piano il dossier energetico, e non a caso a fianco di Draghi a Washington sarà presente l’Ad dell’Eni Claudio Descalzi, entrambi premiati dall’Atlantic Council. L’Italia chiederà agli Stati Uniti una mano (e uno sconto) per il gas naturale liquefatto (Gnl). C’è il nodo rigassificatori, e qui potrebbe entrare in campo Fincantieri (presente in forze nella delegazione negli Usa) che tramite la controllata americana Fincantieri Bay Shipbuilding già produce “bunker barge” per il rifornimento di gas naturale alle navi.
L’Italia però è considerata da Washington un partner fondamentale non solo per la campagna di isolamento economico della Russia ma anche per la “fase due”, cioè la ricostruzione dell’Ucraina devastata da Vladimir Putin una volta cessati i combattimenti. Dagli alleati Nato sono apprezzate le competenze italiane nel settore della logistica: ricostruire porti, strade e ferrovie è infatti una priorità assoluta per l’Ucraina sia per ripristinare il commercio interrotto sia per questioni di sicurezza.
Tra le altre aziende italiane attenzionate da Washington ci sono due eccellenze del settore: la Mermec di Bari, specializzata nelle infrastrutture ferroviarie, metropolitane e tramviarie, e la Tesmec di Bergamo che invece si occupa di trasporto e distribuzione di energia, dati e materiali.