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Mosca si prepara a uno stato di guerra permanente

Se con l’arrivo di Putin è stata l’intelligence a riprendere le redini della Russia, seguita dai giuristi e dai diplomatici, ora sono i militari ad avere il controllo dell’apparato pubblico. Marginalizzati gli oligarchi, saranno i generali a spingere per un conflitto perpetuo. L’analisi di Igor Pellicciari, ordinario di Relazioni internazionali all’Università di Urbino

Restiamo convinti nell’astenerci dal commentare l’andamento passo per passo del conflitto in Ucraina per i motivi anticipati su queste pagine fin dal suo inizio, frutto di una personale opposizione sia professionale che umana alla guerra.

A differenza di un giornale che deve uscire tutti i giorni, l’analista rischia grosso ad esporsi con opinioni e previsioni quotidiane puntualmente smentite o, peggio, strumentalizzate per fini terzi. Che si tratti di polemica politica classica o del tentativo di alzare di qualche punto lo share dell’audience, poco cambia.

Per il resto, il nostro fastidio verso la guerra ricorda quello provato davanti una grave malattia. Chi è sopravvissuto a un tumore, di certo non ne rimpiange il dolore né ne auspica un ritorno.

Rimarcata questa avversione alla telecronaca delle singole operazioni militari, è però lecito – dopo due mesi di conflitto – sottolineare il ripetersi di antichi problemi di approccio dell’Occidente nell’osservare la Russia, che di nuovo rendono difficile dare un qualunque senso alle scelte del Cremlino. Soprattutto quando estreme, come il ricorso ad una invasione militare all’antica.

Abbiamo qui isolato tre aspetti, per facilità riassunti per punti, connessi e riconducibili alla questione generale di chi decida veramente a Mosca.

  • Imperatore o Impero

Da tempo, il primo stereotipo occidentale sulla Russia è che tutte le decisioni del Cremlino senza distinzioni siano riconducibili ad una sola persona e che Vladimir Putin sia Zar che vi regni incontrastato, alfa-omega delle dinamiche del paese.

Lungi dal negare il suo impatto determinante sul sistema politico, tuttavia questo approccio impedisce di coglierne la complessità. A partire dalle istituzioni e dei gruppi di potere che lo animano; ovvero dell’establishment di cui Putin è espressione e sintesi, come ben illustrato dalla collega Mara Morini (La Russia di Putin, ed. il Mulino).

La comoda semplificazione Putin=Zar ha trovato terreno fertile nei Media e nell’informazione quantitativa di massa, salvo poi riuscire ad attecchire anche in contesti professionali.

Ne è conseguito un eccessivo interrogarsi sul profilo psicologico del presidente russo e, oggi, sul suo stato di salute come se bastasse a spiegare scelte radicali di lungo periodo (la creazione di un asse Mosca-Pechino) o a dire della durata della guerra.

Come scrivemmo a suo tempo, in un paese dalle risorse, interessi, ambizioni, élite interne come quelle della Russia, “il peso specifico di un Impero è di gran lunga maggiore di qualsivoglia Imperatore (o Zar) che se ne avvicendi al comando” (Rivista di Politica, 4/2017).

Non sarà con la danza della pioggia per il cambio del leader al Cremlino che svanirà la leadership che ha deciso e sostenuto l’invasione ucraina. E con la quale sarà comunque difficile accordarsi perché conosciamo molto poco degli attori che animano il backstage alle spalle del Presidente russo.

  • Il Consenso tra Oligarchi e Classe Medio-bassa

Altra ingenua speranza basata su vecchie convinzioni è stata pensare che colpendo con larga eco mediatica gli asset degli Oligarchi, questi si sarebbero rivoltati contro Putin, portando alla sua destituzione.

Come previsto, nulla è avvenuto perché il ruolo politico degli Oligarchi è stato negli anni ridimensionato rispetto ai picchi toccati ai tempi di Boris Eltsin.

A ciò ha contribuito il tentativo del Cremlino di crearsi un proprio polo di consenso esclusivo nell’opinione pubblica russa, curando la crescita di una classe sociale medio-bassa in larga parte coincidente con il mastodontico apparato burocratico statale e para-statale ereditato dal periodo sovietico.

Spina dorsale del consenso dell’establishment, meno toccata dalle sanzioni perché protetta nella bolla della pubblica amministrazione, questa classe peraltro mal sopporta gli Oligarchi sia per le enormi ricchezze accumulate dallo sfruttamento di ex-beni pubblici che per essersi affermati grazie alle privatizzazioni selvagge russe intraprese negli anni ’90, proprio su suggerimento Occidentale.

Cosicché, in nome di questo risentimento sociale, tra i fattori che oggi contribuiscono ad aumentare il consenso interno a Putin vi sono per paradosso proprio le notizie di confisca dei beni agli Oligarchi.

Ovvero, l’esatto l’opposto di quanto si era prefissato di ottenere il fronte Occidentale.

  • Spie, Giuristi, Diplomatici … e Militari

Il passaggio della politica estera del Cremlino dall’uso della carota (gli aiuti) a quello dei cannoni (l’azione militare diretta) è meno sorprendente alla luce dell’alternanza delle élite al centro dell’azione di Governo a Mosca negli ultimi due decenni.

Abbiamo diviso questo periodo idealmente in tre fasi (LIMES 9/2016) partendo dal 2000-2005, quando esponenti dell’Intelligence prendono apertamente il controllo dello Stato con l’obiettivo di rimettere in sicurezza il paese e riprendere il controllo degli asset strategici caduti in mani straniere.

Nel lustro seguente, alla guida del Governo tornano settori classici della funzione pubblica, rappresentati al meglio dai Giuristi, con il compito di creare la classe medio-bassa conservatrice di cui sopra e marginalizzare il ruolo politico degli Oligarchi.

All’incirca con la fine della presidenza di Dmitrij Medvedev nel 2012, inizia la terza fase di dominio dei Diplomatici, in concomitanza con la decisione di Mosca di riprendere lo status di super-potenza, malamente perso dopo il crollo dell’URSS.

Da questa prospettiva, la svolta bellica in Ucraina può essere letta come risultante di una quarta fase, iniziata con il crescente coinvolgimento dell’esercito nell’azione russa oltre confine ed in particolare con i successi maturati sul campo in Siria.

Suo primo tratto distintivo sarebbe la centralità al Cremlino acquistata dai militari; espressione dell’enorme e vastissimo settore Difesa russo; a differenza di quello americano, integralmente di matrice pubblica e desideroso di vedersi riconosciuto il ruolo di colonna portante dell’Impero.

Se questa fase fosse simile alle altre, la cattiva notizia per l’Occidente ed in particolare per l’Europa è la possibile escalation in intensità e durata del conflitto in Ucraina proprio perché gestito dal Cremlino con logiche militari più che politiche.

Ma anche che per gli anni a venire il ricorso di Mosca all’azione militare per risolvere le proprie controversie, da eccezionale potrebbe diventare strumento ricorrente della sua politica estera.

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