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I Pasdaran nelle liste terroristiche, ma sul Jcpoa si va avanti

I Pasdaran resteranno nella lista dei terroristi degli Stati Uniti. Biden non avrebbe accettato la proposta dell’Iran, Bennett ringrazia pubblicamente. Tuttavia i negoziati per ricomporre l’accordo sul nucleare iraniano procedono e spazi per riattivare il Jcpoa sembrano ancora esserci, secondo Annalisa Perteghella (Ecco)

Secondo quanto riferito a Politico da un “alto funzionario occidentale”, il presidente Joe Biden ha reso definitiva la sua decisione di mantenere il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche iraniane, le Sepâh, nella lista nera dei terroristi, complicando ulteriormente gli sforzi internazionali per ripristinare l’accordo sul nucleare iraniano del 2015. Biden avrebbe comunicato la sua decisione durante una telefonata del 24 aprile con il primo ministro israeliano, Naftali Bennett.

Prima che Biden annunciasse ufficialmente la decisione, Bennett l’ha bruciato con una dichiarazione uscita in contemporanea con il pezzo di Politico. “Mi congratulo con l’amministrazione statunitense, guidata dall’amico Joe Biden, per la decisione di mantenere il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche (IRGC) al posto che gli spetta, ovvero nella lista delle organizzazioni terroristiche straniere (FTO)”, ha detto il primo ministro.

Bennett, che ha definito Biden “un vero amico di Israele che si impegna per la sua forza e sicurezza”, ha sottolineato nella sua dichiarazione che negli ultimi mesi il suo governo ha chiarito la proprio posizione – “l’IRGC è la più grande organizzazione terroristica del mondo, coinvolta nella pianificazione e nella realizzazione di atti di terrore mortali e nella destabilizzazione del Medio Oriente” – ed è stato evidentemente ascoltato dall’amministrazione statunitense. Il primo ministro israeliano ha aggiunto di essere stato aggiornato sulla decisione durante la conversazione del 24 aprile.

Gli Stati Uniti hanno designato le Sepâh (giornalisticamente note anche come “Pasdaran”) nel 2019, quando l’amministrazione Trump aveva avviato la strategia della “massima pressione”, facendola seguire alla decisione di uscire in forma unilaterale dall’accordo per il congelamento del programma nucleare iraniano, noto con l’acronimo inglese Jcpoa. Ora che l’accordo è in fase di ricomposizione, l’esclusione dei Pasdaran dalla lista FTO era una delle richieste messe sul tavolo da Teheran – ma considerata praticamente irricevibile da Washington.

Secondo l’esperta di Iran Annalisa Perteghella, dietro alla decisione americana formalizzata dall’annuncio israeliano, resta comunque una bottom line: “un accordo è ancora sul tavolo”. Perché? “Possiamo vedere questa uscita pubblica di Israele come una forma di rivendicare un successo – risponde a Formiche.net – e un modo per dimostrare di aver ottenuto qualcosa su cui aveva interesse, che diventa contemporaneamente una forma di avallo alle restrizioni sul nucleare iraniano che il Jcpoa impone, che in fondo sono anche utili per gli israeliani”.

“Inoltre – aggiunge Perteghella – è un modo per tenere la pressione su Biden, o comunque in ottica di continuità con una serie di attività che Israele sta portando avanti, è un modo di mantenere attivo il proprio spazio di azione”. Il governo Bennett ha sull’Iran, considerato un nemico esistenziale, una posizione in continuità con i precedenti esecutivi. Bennett ha incaricato alla guida del Mossad, il servizio segreto estero, un ufficiale – David Barnea – esperto di attacchi fantasma, che anche recentemente hanno preso di mira figure della catena di comando dei Pasdaran. Il governo Bennett ha anche ri-autorizzato la progettazione di un piano di attacco contro i siti nucleari iraniani; in questi giorni caccia israeliani stanno simulando raid di questo tipo.

Israele, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita si sono sempre opposti alla rimozione del ramo militare iraniano dalla lista del terrorismo e in modo più sfumato alla ricomposizione dell’accordo nucleare. Israele l’ha criticata, Riad e Abu Dhabi hanno preso una posizione più moderata anche perché stanno cercando una faticosa ricostruzione delle relazioni con Teheran. I Pasdaran vengono percepiti come un ostacolo e una minaccia perché guidano (con interessi e ideologia) un network di milizie sciite sparse per la regione che si muovono anche con l’obiettivo di destabilizzare gli interessi americani (occidentali) e dei rivali locali – i regni sunniti del Golfo e lo Stato ebraico.

I funzionari statunitensi – che da oltre un anno conducono negoziati con gli iraniani sotto l’intermediazione dei diplomatici europei – sottolineano che la designazione terroristica delle Sepâh non è mai stata tecnicamente parte dell’accordo nucleare stesso e affermano che l’accordo potrebbe essere ripristinato con la designazione ancora in vigore. Tuttavia l’inserimento dei Pasdarn nelle FTO è stato deciso dall’amministrazione Trump anche con lo scopo di rendere più difficile la ricomposizione del Jcpoa.

Oggi, l’inviato speciale degli Stati Uniti per l’Iran, Robert Malley (uno degli studiosi che contribuì a scrivere il testo dell’accordo), testimonierà sullo stato dei negoziati e affronterà le domande di un Congresso con una preoccupazione bipartisan: qual è la strategia generale con l’Iran, oltre al ritorno in attività del Jcpoa? Questo crescente interesse è accompagnato dall’uscita (ad orologeria, verrebbe da dire) sia sul Wall Street Journal che sulla Reuters di informazioni a proposito della continuazione del programma nucleare di Teheran e sui documenti di copertura creati per mascherarlo ai controlli dell’Agenzia atomica internazionale.

Tuttavia, nei giorni scorsi il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, dopo incontri diplomatici con Oman e Qatar, aveva espresso la necessità di “prendere decisioni difficili per il Paese” con l’obiettivo di migliorare la situazione economica. Un’uscita che era sembrata una formula per anticipare ai propri supporter conservatori, e preparare il resto dell’establishment – anche i lati più reazionari –, alla ricomposizione del quadro dell’intesa che fu stretta nel 2015.

Tra i diplomatici europei c’è invece preoccupazione che salti la finestra di opportunità per far ripartire il Jcpoa – e dunque evitare che l’Iran si doti del deterrente nucleare e tenerlo in un perimetro di miglior dialogo. Questo potrebbe far naufragare tutti gli sforzi fatti finora e ogni giorno che passa allontana una soluzione. “Il progetto di accordo per riprendere il rispetto del Jcpoa è pronto da più di due mesi”, ha detto questa settimana il ministero degli Esteri francese, “tuttavia è stato ostacolato da una questione tra Stati Uniti e Iran che non è correlata al Jcpoa”. La “questione” è proprio il destino delle IRGC.

Nelle scorse settimane il capo negoziatore dell’Ue, Enrique Mora, direttore politico dell’European External Action Service, è stato in visita a Teheran. Al suo ritorno, fonti diplomatiche europee hanno fatto capire che l’Iran potrebbe anche essere disponibile a trattare la questione delle Sepâh anche successivamente, ossia dopo aver ricomposto il quadro del Jcpoa. Il rischio è che il procedere attuale del programma di arricchimento iraniano arrivi fino a livelli irreversibili, ossia alle percentuali di materiale arricchito per uso militare.

Ieri, 24 maggio, a Teheran c’era il segretario generale della Farnesina, Ettore Sequi, che ha avuto un incontro con il viceministro degli Esteri Ali Bagheri Kani, che è il capo negoziatore iraniano sul Jcpoa. I due hanno affrontato temi regionali e internazionali e hanno parlato di come “promuovere le relazioni politiche, economiche e culturali”. Il richiamo alle relazioni economiche è interessante: la presenza delle sanzioni secondarie statunitensi rende difficile qualsiasi genere di scambio commerciale con l’Iran, la ricomposizione del Jcpoa abolirebbe quelle sanzioni e renderebbe Teheran un mercato possibile.

Il Copasir, nella “Relazione sulle conseguenze del conflitto tra Russia Ucraina nell’ambito della sicurezza energetica” trasmessa al Parlamento il 27 aprile 2022, individua l’Iran come un potenziale “partner” italiano anche sul mercato del gas, viste le potenzialità del giacimento condiviso col Qatar. Secondo l’analisi di Palazzo San Macuto, l’Iran potrebbe essere “un’ulteriore fonte alternativa per il reperimento del gas in sostituzione di quello russo”.

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