Già l’anno scorso le immagini satellitari avevano rivelato, nel deserto dello Xinjiang, una riproduzione di una portaerei americana, bersaglio per i missili di Pechino. Ora appaiono anche strutture portuali. Colpire una nave alla fonda è una minaccia strategica di primaria importanza
Un vero e proprio poligono di tiro navale nel bel mezzo del deserto del Taklamakan, situato quasi interamente nella regione cinese dello Xinjiang. È quanto rivelano le immagini satellitari fornite dalla società Maxar e analizzate da USNI News, che restituiscono le immagini di sagome di navi e portaerei statunitensi. La notizia che la Cina si stesse esercitando a colpire questi bersagli con i propri missili balistici antinave è in realtà dell’anno scorso.
La novità, però, è che alle navi si sono aggiunte le sagome di strutture portuali. Secondo USNI, la Cina starebbe affinando le sue capacità di colpire le navi americane direttamente in porto con missili balistici a lungo raggio. Se prima questo tipo di esercitazioni poteva essere giustificato da una loro natura difensiva, l’idea di attaccare i vascelli attraccati ancora nelle proprie basi va in tutt’altra direzione.
La riproduzione del porto
Situata a dodici chilometri a sud-ovest rispetto alla struttura della portaerei già rivelata nel 2021, la nuova struttura riproduce moli in scala reale e una nave, simile a un cacciatorpediniere, in scala reale. Registrate per la prima volta a dicembre dell’anno scorso, le foto rivelano che a febbraio la nave “ormeggiata” è stata centrata in pieno da un missile. Il bersaglio è stato successivamente smontato e ora non esiste più. Un altro obiettivo a forma di base navale è stato rilevato a trecento chilometri a sud-ovest rispetto al primo, anche questo fornito di sagome di navi, una disposta nella stessa maniera di quella colpita a inizio anno.
Test ipersonici
La natura, la posizione e i segni di esplosioni in questi siti sono per gli analisti un chiaro segno che tali bersagli siano destinati a testare i missili balistici di Pechino. Tra i sistemi testati potrebbero esserci anche i missili balistici anti-nave ipersonici (Asbm), una minaccia sempre più significativa per le forza navali di tutto il mondo. La lezione dell’incrociatore russo Moskva che, per quanto di design obsoleto, è stato affondato con due missili convenzionali, indicano che la minaccia missilistica può rivelarsi fatale per tutte le unità di superficie.
Al momento, la Cina starebbe sviluppando due tipi di Asbm, il DF-21D e il DF-26, entrambi basati a terra, il cui scopo è principalmente la difesa costiera, uno strumento di dissuasione per le navi americane. Un altro tipo, di cui non si conosce la designazione, sarebbe basato sul bombardiere strategico a medio raggio H-6. Un modello navale, identificato con il codice YJ-21, è invece basato sull’incrociatore di classe Type-055 Renhai.
Nuovi sistemi di guida
Anche i materiali con cui sono stati costruiti i bersagli non sono casuali. Navi, moli ed edifici sono costruiti da composti diversi, in modo da rendere più realistica la simulazione e permettere di testare con più efficacia i sistemi di guida dei missili. L’efficacia dei moderni missili balistici si misura con la “circular error probability” (Cep), un’area circolare nel quale si presume che arrivino almeno la metà dei colpi lanciati. La difficoltà di colpire una nave sta nel fatto che buona parte del Cep dei missili si trova in acqua, che se colpita attutisce i potenziali danni inflitti al bersaglio. Le Forze armate cinesi, dunque, potrebbero stare testando nuovi sistemi basati sugli infrarossi, l’ottica o i radar per migliorare l’identificazione del bersaglio e ridurre la possibilità di errore.
Una Pearl Harbor cinese?
Soprattutto nello scenario di una nave ormeggiata in porto, la capacità del missile di distinguere tra il mezzo, il molo, gli edifici circostanti e gli altri natanti nell’area diventa cruciale. Riuscire a colpire le navi in porto, come insegnano Taranto e Pearl Harbor, potrebbe infliggere un colpo micidiale a una flotta nemica fin dalle primissime fasi di un eventuale conflitto. Le unità in porto, infatti, sono ferme e vulnerabili, oltre a trovarsi in un luogo più o meno conosciuto, invece che disperse nella vastità del mare.