Come si coniuga la ricerca di fonti alternative alla Russia con la transizione energetica? Con quali termini ci stiamo impegnando con altri fornitori e che impatto può avere sulla decarbonizzazione? L’esperta di economia ed energia offre a Formiche.net una visuale a tutto campo, dalle navi gasiere al razionamento, passando per Fit for 55 e l’approccio (poco chiaro) del governo
La ricerca di alternative al gas russo si interseca con altri giochi di forza. Come quelli tra Russia e Ue su pagamento in rubli, pompaggi e stoccaggi, petrolio ed embargo, suscitati dall’invasione dell’Ucraina. In parallelo c’è lo sforzo dei Paesi europei per la decarbonizzazione (il prossimo obiettivo è emissioni giù del 55% entro il 2030, secondo il piano europeo Fit for 55). Ma un eventuale blocco delle forniture di gas e le misure d’emergenza che ne conseguirebbero potrebbero compromettere il processo di transizione. Così Formiche.net ha raggiunto Pia Saraceno, già docente di economia, sviluppo ed energia (nonché membro dell’Advisory Council di ECCO e Senior Advisor di REF-E), per una conversazione a tutto campo.
Professoressa Saraceno, come commenta l’apparente apertura del premier Mario Draghi ai pagamenti in rubli?
Mi sembra che abbia detto l’ovvio. Abbiamo continuato a importare gas russo anche oltre la scadenza imposta da Putin per il pagamento in rubli. Semplicemente non siamo ancora pronti a fare a meno del gas russo e dunque, anche se non accettato ufficialmente, con il cambiamento del sistema di pagamento aiuteremo a sostenere il cambio del rublo, vanificando alcune conseguenze delle sanzioni.
Possiamo fare a meno del petrolio russo? Dovremmo?
Il petrolio è una commodity scambiata nel mercato globale e di più facile trasporto. È la voce maggiore guardando alle risorse finanziarie che arrivano alla Russia, per noi è anche la meno difficile da sostituire. Tuttavia, anche se anticipato dai mercati, un embargo provocherebbe nuovi scossoni sui mercati internazionali, in termini di alta volatilità e prezzi elevati nel breve termine. Non sono facilmente prevedibili per le conseguenze strutturali sui mercati petroliferi. Dipenderà anche da dove verrà dirottato il petrolio russo e l’impatto che questo avrà sulla domanda globale. È già stato dirottato in parte (con forti sconti) verso Paesi che non hanno applicato sanzioni, come Cina ed India. I Paesi europei che si oppongono, come l’Ungheria, non vogliono che le sanzioni mordano troppo.
E possiamo fare a meno del gas russo?
Per ora possiamo solo ridurre la dipendenza dalla Russia aumentando le importazioni da altri Paesi, come stiamo già in parte facendo: una chiusura totale dei rubinetti richiederebbe decisioni più impegnative di quelle prese finora per ridurre i consumi. Molti Paesi europei (e l’Italia in particolare) dipendono dal gas per la produzione dell’elettricità, per il riscaldamento e per i processi industriali. Senza il gas russo dovremmo razionare sia la domanda di gas che di elettricità (prodotta con il gas) da subito. Avremmo forse già dovuto iniziare a farlo quando il riscaldamento era ancora acceso per arrivare con un livello di stoccaggio più pieni a fine inverno. Il nostro ministro ha continuato a tranquillizzarci invece che prepararci ad affrontare le conseguenze del conflitto in atto e ad attivare misure di efficienza più incisive. Ora se la situazione precipita le conseguenze saranno più pesanti, mentre i provvedimenti per accelerare il risparmio energetico sono ancora inadeguati.
Come siamo messi a stoccaggi?
Sotto alla media storica del 30%, ossia circa 7 miliardi di metri cubi (mmc) in meno ad inizio maggio rispetto alla media degli ultimi 5 anni. Da fine marzo è iniziato il periodo in cui gli stoccaggi tornano a riempirsi per avere sufficiente gas per l’inverno, ma al momento stiamo procedendo a ritmi molto lenti, frenati dall’alta domanda del termoelettrico e da prezzi ancora molto elevati e volatili. Siamo all’inizio del ciclo di riempimento e nel corso dell’estate, in condizioni di normalità, si potrebbe recuperare. Ma siamo lontani dalla situazione di normalità.
Il tetto al prezzo del gas può aiutare? Come impatterebbe il mercato elettrico?
L’Italia, per voce di Draghi, insieme ad altri ha proposto il tetto al prezzo del gas, argomentando che se i Paesi europei avessero un acquirente unico del gas disporrebbero di più potere contrattuale. Questo impatterebbe specialmente il nostro principale fornitore, la Russia, che ci rifornisce via gasdotto e non può scegliere un altro consumatore per quelle quantità. Quanto agli effetti sul mercato, sono vent’anni che l’Ue persegue la liberalizzazione del mercato elettrico e del gas, dove ha prevalso l’idea che il confronto tra gas di provenienza diversa avrebbe portato a prezzi concorrenziali. E per qualche anno la penetrazione del gas russo è stata favorita anche dai suoi prezzi più bassi, ma con l’aumento della dipendenza è aumentato anche il suo potere di mercato. Il prezzo dell’elettricità, invece, è determinato da quello del gas nella maggior parte delle ore. L’esplosione dei prezzi del gas ha infranto la logica di questa impostazione, già messa in crisi dalle esigenze di promuovere la penetrazione delle rinnovabili.
Sul medio e lungo termine, come si sta muovendo l’Italia?
Il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani dice che già dalla fine del 2023 abbiamo accordi con altri fornitori. Non ci ha detto a quali condizioni. 22 dei 29 mmc che importiamo annualmente dalla Russia dovrebbero venire da altri Paesi entro il 2024, il rimanente dovrebbe essere coperto dalla maggiore produzione di rinnovabili. Credo si debba riflettere sia sull’eccesso di ottimismo sulle tempistiche promesse, sia sull’ambiguità dei messaggi delle scelte di politica energetica, impliciti nelle dichiarazioni rassicuranti sulla possibilità di avere il gas in quantità simile a quella del passato.
Ossia?
Sul mercato del gas naturale liquefatto (Gnl) vi sono strozzature nella capacità di liquefazione, che non potrà adeguarsi rapidamente al brusco aumento della domanda proveniente dall’Europa. È un mercato mondiale su cui competiamo soprattutto con altri Paesi asiatici, Cina e India in particolare; si tratta di Paesi con fabbisogni crescenti e disposti a pagare prezzi elevati, come si è visto lo scorso autunno.
Oltre a questo, l’eccesso di ottimismo deriva dal fatto che 15 di questi 22 mmc dovrebbe arrivare con le navi gasiere. L’Italia dice che ne riserverà tre, ma anche la Germania, l’Olanda ed altri Paesi europei stanno cercando navi gasiere, tutte entro il 2024. Non ve ne sono abbastanza per soddisfare le richieste, la costruzione di nuove navi richiede tempi più lunghi. L’Italia potrebbe essere favorita dal fatto che le poche disponibili non sono adatte ai freddi mari del Nord. Ma ancora: anche pagando il noleggio delle navi gasiere, che è aumentato del 70%, a chi le porteremo via? Probabilmente ai Paesi dell’America latina e dell’Africa che scivoleranno verso l’uso di fonti più inquinanti.
E i messaggi poco chiari?
La critica principale è l’assenza di un piano energetico rispetto alle urgenze della guerra, in cui siano messe in evidenza le implicazioni delle diverse scelte. Siamo fermi al PNIEC (Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, ndr) presentato all’inizio del 2020, non ci siamo nemmeno adeguati ai nuovi obiettivi concordati per Fit for 55. Per esempio, la sostituzione del gas russo con altro gas non rispetta l’obiettivo di ridurre del 40% i consumi di gas entro il 2030. Mi domando se gli accordi e le decisioni che sono presi in emergenza non causeranno un rallentamento, anziché un’accelerazione, negli investimenti in rinnovabili ed in efficienza.
Rinnovabili ed efficienza non bastano?
Sono stati varati provvedimenti per accelerare i processi autorizzativi per gli impianti rinnovabili, che negli ultimi anni sono stati l’ostacolo maggiore nel tenere il passo con l’aumento della capacità necessaria per stare sulla traiettoria per la riduzione delle emissioni del 55% nel 2030 e la decarbonizzazione entro il 2050. Nel 2021 si è vista una piccola accelerazione soprattutto perché sono stati smaltiti parte degli arretrati, inclusi quelli che il governo aveva sul tavolo, investimenti bloccati da burocrazia, veti ed inerzia amministrativa. Ma nel 2022 sono tornati a essere molto più prudenti, le richieste di nuove autorizzazioni sono molto inferiori a quelle dell’anno scorso. Come ha rilevato ECCO Climate, nelle strategie del governo manca una quantificazione di come gli interventi di efficienza potrebbero contribuire: potremmo fare a meno di 5-7 mmc di gas equivalente entro il 2025, quasi un quarto del gas che importiamo attualmente dalla Russia. Insomma, non sembra che le azioni in atto puntino ad accelerare il percorso della transizione.
Dunque, come possiamo migliorare il nostro approccio?
Vorrei che il nostro ministro della Transizione Ecologica ci desse un quadro più chiaro, di quali sono gli obiettivi e quali gli impegni. Non mi basta che dichiari come sostituiremo il gas russo, vorrei chiarisse con quali contratti e in quali modalità. Confrontasse le tempistiche e i costi di quegli interventi con le tempistiche ed i costi di altri interventi che possono più strutturalmente guidare la trasformazione della domanda di energia. Abbiamo ritardato un po’ troppo ad accorgerci che le misure di efficienza e risparmio energetico forse debbano anche passare in una prima fase anche dal razionamento.