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Meno Cina, più America. Berlino spinge per una svolta commerciale Ue

Prima i valori, poi gli interessi economici. Il ministro delle Finanze Lindner si sgancia da 16 anni di mercantilismo targato Merkel e denuncia la dipendenza da Pechino e Mosca.  In Germania si parla di rilanciare Ceta e Ttip, che fu congelato proprio da Berlino. Il Ttc può essere la base di partenza

La guerra in Ucraina, dopo il Covid-19, sembra star aumentando le distanze tra democrazie e autocrazie accelerando di conseguenza gli sforzi di entrambe le parti per rendersi meno dipendente dall’altra. Così, al ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov che si dice pronto a puntare ancor di più sulla Cina per “smettere di dipendere dalle forniture” dell’Occidente “russofobo”, risponde il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner sottolineando la necessità di rafforzare le relazioni commerciali con Stati Uniti e Canada.

Definendo “scioccanti” le immagini degli Xinjiang Police Files sulla persecuzione degli uiguri nei campi di internamento cinesi, il ministro ha denunciato “l’enorme dipendenza dell’economia tedesca dal mercato cinese”. Alla luce di tutto ciò, compreso il consolidamento dell’amicizia “senza limiti” siglata dal leader cinese Xi Jinping con l’omologo russo Vladimir Putin il 4 febbraio scorso (cioè tre settimane prima dell’invasione dell’Ucraina), “dovremmo ratificare immediatamente il Ceta”, cioè l’accordo tra Unione europea e Canada, e “avviare discussioni con altri partner importanti come gli Stati Uniti per diversificare le nostre relazioni commerciali”, ha scritto il leader del Partito liberale democratico.

“Non ci devono essere cedimenti basati dei nostri interessi economici”, ha aggiunto Lindner che sta cercando una svolta rispetto ai 16 anni di politica mercantilistica con Angela Merkel alla guida del governo tedesco. D’altronde, non è la prima volta che il ministro sostiene questa urgenza. Due mesi fa aveva sottolineato la necessità di riprendere il Ttip, il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti tra Unione europea e Stati Uniti, in un’intervista al quotidiano Handelsblatt. Ora che l’Spd è in minoranza sulla Russia, la Cdu appare favorevole al Ttip, non rimane che convincere i Verdi, che recentemente, tramite il ministro dell’Economia Robert Habeck, avevano sottolineato l’importanza del Consiglio commercio e tecnologia (Ttc) rispondendo all’intervista di Lindner al quotidiano. Annalena Baerbock, ministra degli Esteri, ha fatto sentire la sua voce sugli Xinjiang Police Files chiedendo chiarimento all’omologo cinese Wang Yi durante un colloquio telefonico.

E proprio il formato di dialogo del Ttc, inizialmente pensato per offrire una risposta euroatlantica alla Cina e recentemente allargatosi alla minaccia russa e in generale delle tecno-autocrazie, potrebbe rappresentare l’embrione di un futuro Ttip.

La Commissione europea sembra pronta a sposare l’idea. Il vicepresidente Valdis Dombrovskis ieri ha spiegato in conferenza stampa, rispondendo a una domande del Foglio, che “le relazioni tra Unione europea e Cina sono molto complesse”, che il recente vertice è stato “complicato” e che “dobbiamo fare i conti con il fatto che la Cina sta prendendo una posizione ambigua sull’aggressione della Russia in Ucraina”. Certo, “ci sono aree in cui dobbiamo cooperare con la Cina, quando dobbiamo affrontare sfide globali come il cambiamento climatico” o “la riforma dell’Organizzazione mondiale del commercio”. Ma come dimostra anche la proposta legislativa per vietare le importazioni nel mercato unico di merci prodotte con il lavoro forzato (come lo Xinjiang) che verrà presentata a settembre, il tabù della Commissione sul disaccoppiamento dalla Cina sembra stia cadendo.

La sfida è tra modelli, non tra Occidente e Oriente geografici (come prova a inquadrarla la Cina). E quindi, durante l’ultimo incontro con gli Stati Uniti, il Giappone ha riconosciuto “che l’Indo-Pacifico ed l’Euro-Atlantico sono collegati”, ha spiegato Alessio Patalano, professore di War & Strategy in East Asia presso il King’s College London, a Formiche.net. In questo contesto vanno letti sia il recente impegno statunitense per la prosperità del Pacifico (e non soltanto per la sua sicurezza) sia quello dell’Unione europea verso il Giappone con l’avvio di un partenariato digitale in occasione del vertice tenutosi due settimane fa a Tokyo, che è stata la prima tappa del primo viaggio in Asia da cancelliere per Olaf Scholz (un segnale importante considerato che nei suoi 16 anni di cancellierato Merkel ha fatto il doppio dei viaggi istituzionali in Cina rispetto a quelli in Giappone).

Anche Jens Stoltenberg, segretario generale della Nato, spinge in questa direzione. “Abbiamo lavorato sodo per creare un’economia globale, ma dobbiamo capire che la libertà è più importante del libero commercio e che la protezione dei valori è più importante dei profitti”, ha detto ieri al Forum economico mondiale di Davos rievocando il concetto di friend-shoring più volte citato da Janet Yellen, segretaria al Tesoro degli Stati Uniti. “Non dobbiamo barattare la sicurezza di lungo termine con vantaggi economici di breve respiro, sia che si tratti della dipendenza dagli idrocarburi o dell’export dell’Intelligenza artificiale”, ha detto ancora Stoltenberg. “Questo vale per la Russia ma anche per la Cina, regimi autoritari che non condividono i nostri valori”, ha aggiunto.

È il multilateralismo di Joe Biden, che a differenza di quanto fatto da Donald Trump sta cercando, tramite il rilancio delle relazioni euroatlantiche e del Quad, di impostare il confronto tra modelli rispondendo all’asse sinorusso che nella dichiarazione di febbraio minacciava l’ordine globale attuale. E se la Germania si muove verso gli Stati Uniti e verso Paesi d’Oriente diversi dalla Cina, allora potrebbe essere il momento del Ttip congelato proprio dalla Germania, assieme alla Francia, sei anni fa.

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