Incontri incrociati tra Israele, Emirati Arabi, Stati Uniti e Autorità palestinese. Interessi incrociati su Gerusalemme, con la causa israelo-palestinese che ritorna in agenda anche perché potrebbe diventare sfogo di alcune dinamiche (dall’Iran alla crisi alimentare)
Il primo ministro israeliano, Naftali Bennett, è arrivato ad Abu Dhabi, per un incontro non programmato con il presidente emiratino Mohammed bin Zayed. Tra i due c’è ormai un’assiduità di contatti personali (Bennett definisce bin Zayed “un uomo di visione e un leader coraggioso”, l’altro ricambia). Rapporti che segnano il nuovo corso delle relazioni tra Israele ed Emirati Arabi Uniti dopo la normalizzazione segnata dagli Accordi Abramo.
Dietro l’incontro ci sono certamente le regional issues, di cui parlano laconicamente fonti israeliane facendo intendere che il tema sia l’Iran (i negoziati per la ricomposizione dell’accordo nucleare Jcpoa e il ruolo dei Pasdaran dietro alle attività delle milizie in vari Paesi del Medio Oriente), ma anche gli effetti della guerra russa in Ucraina sia in termini di relazioni internazionali sia in quelli (non scollegati) di commercio e investimenti – anche alla luce dell’accordo di libero scambio recentemente siglato tra i due Paesi.
Poi potrebbe esserci la sfera interna a Israele. Per gli emiratini, Bennett è un interlocutore efficace, una buona sponda che però ha problemi di tenuta perché il suo governo scricchiola da tempo (e se cadesse potrebbe aprire spazi anche a una coalizione guidata di nuovo da Benjamin Netanyahu). Inoltre c’è la questione palestinese, che sta tornando di interesse anche per i recenti screzi diplomatici attorno agli accessi al Monte del Tempio, al rallentamento dei piani per la costruzione di un santuario permanente per la congregazione ebraica di Dubai, alla vicenda della morte della giornalista Shireen Abu Akleh.
Sulla questione palestinese c’è anche una spinta da Washington. Nei prossimi giorni, Barbara Leaf – che ha recentemente giurato come assistente segretario di Stato per gli Affari del Vicino Oriente – sarà in visita a Gerusalemme e Ramallah con l’obiettivo di rassicurare il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, ANP, Mohamud Abbas, che gli Stati Uniti sono ancora interessati nel trovare una soluzione alla questione israelo-palestinese.
La visita segue una telefonata in cui Abbas ha espresso le proprie rimostranze per il disinteressamento americano alla causa al segretario di Stato, Antony Blinken. Da qualche giorno, in Israele c’è Haftar Amr, vice assistente al dipartimento di Stato con l’incarico di seguire Israele e Palestina, che sta preparando la visita di Leaf. Amr, che potrebbe essere nominata a breve inviata speciale statunitense per gli Affari palestinesi, è arrivata nello stato ebraico dopo che il governo Bennett ha respinto una proposta americana per un incontro di alto livello con l’Anp.
Era un tentativo con cui l’amministrazione Biden intendeva ricreare il quadro per un orizzonte politico, un percorso negoziale possibile, di cui aveva parlato anche la vicesegretario di Stato, Wendy Sherman, con il consigliere per la sicurezza nazionale di Israele, Eyal Hulata, ventilando la possibilità di organizzare un vertice a cinque tra Israele, Autorità palestinese, Stati Uniti, e con Egitto e Giordania. Secondo le informazioni pubblicate da Axios, il governo Bennett ritiene che al momento le condizioni da entrambe le parti non siano mature per un’iniziativa del genere.
Hulata, in quell’incontro con Sherman, avrebbe sottolineato che Israele non è interessato a un photo-op che si concluda con un nulla di fatto e si traduca in una “crisi di aspettative”. Differentemente, è possibile che l’amministrazione Biden stia cercando di proporre ai palestinesi dei risultati tangibili in vista della visita del presidente Biden in Medio Oriente, prevista per la metà di luglio, per rassicurarli – anche con la consapevolezza che la Palestina potrebbe risentire pesantemente di effetti a cascata della guerra russa in Ucraina, come la crisi alimentare.
Da qui assicurarsi che la visita sia un successo anche su questo delicato fronte, mentre procede un non facile riavvicinamento con partner come i sauditi. In questo, chiaramente con un’ottica più ampia, la nomina di Leaf a Foggy Bottom serve a riempire 18 mesi di vuoti su quel ruolo. Leaf prima era al Consiglio di Sicurezza Nazionale con un incarico simile, e la sua nomina potrebbe significare il tentativo di tornare a privilegiare processi di leadership affidati alla diplomazia piuttosto che ad altri centri di potere alternativi, come la Casa Bianca e lo stesso NSC.
La vice segretaria ha adesso la necessità di ricostruire per State Dept il ruolo di interlocutore sulle politiche mediorientali dell’amministrazione. Nel farlo, Leaf ha questioni che richiedono attenzione urgente e altre che hanno un significato più narrativo. Tra queste, il valore della questione palestinese è ibrido, perché seppure non centrale nella strategia americana, è comunque un vettore (per quanto per certi versi formale) nella ricostruzione delle relazioni con i partner chiave del Golfo, l’Arabia Saudita e gli Emirati.
Allo stesso tempo, sebbene i negoziati sul Jcpoa siano guidati dal NSC, la diplomazia del dipartimento ha il ruolo di gestire le ricadute di ciò che accadrà. Gerusalemme come Riad e Abu Dhabi sono interessati direttamente e il destino della Palestina potrebbe anche essere collegato a un effetto Iran. Sia perché i Pasdaran hanno all’interno dei territori palestinesi dei propri proxy da usare come arma asimmetrica per sfogare eventuali frustrazioni, sia perché quegli alleati americani potrebbero pretendere contropartite (e tra queste quelle che riguardano la Palestina potrebbero avere valore narrativo per loro).
Le promesse dell’amministrazione Biden di riequilibrare le relazioni con Israele e i palestinesi, compreso il ripristino di una missione diplomatica in Palestina indipendente dall’ambasciata, non sono state finora mantenute. Mentre il governo israeliano vacilla e gli scoppi di nuove violenze minano ulteriormente le speranze di una nuova iniziativa diplomatica per porre fine al conflitto, Leaf avrà un ruolo per competenze proprie e per necessità di Washington – anche nell’ottica del dare priorità alla diplomazia come strumento principale della politica estera degli Stati Uniti nella regione, obiettivo fissato da Joe Biden.